Il trucco delle due fasi



Negli amabili talk show di attualità recentemente si sta assistendo ad un simpatico siparietto: persone che discutono del mercato del lavoro, teorizzando scenari tedeschi, o danesi, per poi concludere che sì, sarebbe bello, ma i soldi ci sono? No. 
Particolarmente suggestivo è lo scenario danese della flexsecurity, detto da chi non sa (o non vuol sapere e quindi tace) che la Danimarca spende in politiche di sostegno al lavoro il 2,6 per cento del suo Pil, mentre qui spendiamo lo 0,4. 
Bello anche quando si sente parlare del Job Act di Obama,  dimenticandosi di dire che per attuarlo mise sul tavolo la bellezza di 447 miliardi di dollari di denaro pubblico. 
Qui si oscilla molto, invece: chi dice che non sarebbero sufficienti dieci miliardi e chi teorizza che ne basterebbero due o tre, anche se su una cosa sono d’accordo tutti: non ci sono.

Scatta dunque il solito amabile trucco: le due fasi. 
Constatato che il mondo del lavoro ha due grandi componenti – lavoro garantito, si fa per dire, e lavoro precario – si propone di togliere garanzie al primo per poi darle a tutti "così saremo tutti uguali". 

Prima fase: via alcuni ammortizzatori (articolo 18, cassa integrazione). 

Seconda fase: felice redistribuzione di ammortizzatori e diritti. 

Naturalmente quel che può capitare tra prima e seconda fase appartiene all’imponderabile: elezioni, cavallette, mutamento del quadro politico, acuirsi della crisi, inondazioni, eccetera eccetera. Come dire che, mollati i diritti che rimangono e il welfare che resta, poi si vedrà, sempre se troveremo i soldi, che al momento non ci sono.

E se per caso qualcuno fa resistenza, si oppone, avanza qualche dubbio, si becca del conservatore, del gufo, del disfattista imbelle, magari pure dal Presidente della Repubblica.

Immaginiamo l’entusiasmo con cui milionari, alti redditi ed evasori fiscali assistono ai dibattiti televisivi di questi giorni: di oneri per le imprese non si parla, di tasse più alte (a livello danese, diciamo) non si parla, di soldi da trovare dove i soldi ci sono non si parla. 

La riforma del lavoro pare una partita di giro tra lavoratori, in sostanza un affare interno tra padri sfigati garantiti con la cassa integrazione e figli sfigati non garantiti che non hanno nemmeno quella. 
Tutti gli altri ridono di gioia.

* liberamente adattato da un articolo di Alessandro Robecchi

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