Meglio argomentativo o assertivo?


Nella comunicazione politica italiana si fronteggiano interlocutori che utilizzano il discorso argomentativo e interlocutori che utilizzano il discorso assertivo.

Per discorso argomentativo intendo quel tipo di discorso che, rispettando i principi logici di causa ed effetto e di identità e non contraddizione, si svolge secondo il filo del ragionamento, esplicitando le premesse da cui parte, chiarendo i perché della scelta delle premesse e dei fatti che ne conseguono e concludendo con previsioni di risultati anch’esse razionalmente argomentate. E’ un discorso che non confonde la parte con il tutto, il singolare con il plurale; è un discorso basato su una corretta coniugazione dei verbi, sicché non confonde il presente con il desiderabile futuro; è un discorso che tiene conto del fatto che, quando si vuol cambiare qualcosa, bisogna intervenire anche sulle cause che hanno prodotto quella cosa.


Il discorso assertivo è tutt’altra cosa: afferma, dichiara, definisce, prevede e prescrive, senza preoccuparsi di spiegare a chi ascolta né il perché, né il come, né il quando, né con quali mezzi e risorse. E’ un tipo di discorso che fa coincidere nome e cosa, affermazione e fatto.

Dopo Mussolini (maestro del linguaggio assertivo: “Li fermeremo sul bagnasciuga”) e Berlusconi (altro maestro del linguaggio assertivo: Il milione di posti di lavoro, l’abolizione delle tasse...) Renzi si inserisce bene nella tradizione assertiva. 
Ha cominciato con l’affermazione dell’esigenza di rottamare (Chi? Perché?) onde realizzare il cambiamento (Quale? Come?) e prosegue con immaginose affermazioni, che raramente rispettano il principio di non contraddizione o chiariscono i rapporti di causa ed effetto.

E gli italiani che ascoltano sembra che si dividano tra chi capisce e ama il primo tipo di discorso e chi capisce e ama il secondo.
Tu dove stai?

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