Fra le tante corbellerie che è riuscito a dire il
premier Bomba nel confronto col sottoscritto a Otto e mezzo, c’è la nostra
presunta conversione al “garantismo”. Conversione ovviamente selettiva:
riservata a Paola Muraro e ai 5Stelle e non, invece, ai politici degli altri
partiti indagati o imputati o condannati. Il pover’uomo ha fatto una magra
figura: forse non sapeva che avevamo chiesto (invano) le dimissioni della
Muraro per aver mentito proprio al Fatto; o, se lo sapeva, mentiva sapendo di
mentire (come spesso gli accade di fare) e provava a screditarci dipingendoci
come un giornale fazioso che usa due pesi e due misure a seconda del partito.
Ma gli è andata male. Chi ci legge per davvero sa bene che non rendiamo conto a
nessuno fuorché ai nostri lettori e dichiariamo apertamente i nostri princìpi,
plaudendo quei politici che di volta in volta li praticano e criticando quelli
che fanno l’opposto. Se negli anni ci è capitato di essere d’accordo, ogni
tanto, ora con Di Pietro, ora con Ingroia, ora coi 5Stelle, talvolta persino
con Renzi e ultimamente con Bersani o con la Meloni, non è perché abbiamo
sposato questo o quello: ma perché quelli venivano o vengono sulle nostre
posizioni. Che sono chiare e nette, stampate nei nostri articoli e libri.
Quanto al “garantismo”, è quasi sempre una parola vuota, un gargarismo
insensato. Il “garantismo”, per la Treccani, è la “concezione dell’ordinamento
giuridico che conferisce rilievo alle garanzie giuridiche e politiche volte a
riconoscere e tutelare i diritti e le libertà fondamentali degli individui da
qualsiasi abuso o arbitrio da parte di chi esercita il potere”. Chi viene
sottoposto a indagini e processi ha il sacrosanto diritto di difendersi dalle
accuse con tutti i mezzi consentiti dalla legge. E su questo siamo tutti
d’accordo: tutti garantisti. Ma ciò riguarda l’ambito penale, non quello
civile, politico, amministrativo. Un conto è dire che nessun imputato va
considerato colpevole sino a condanna definitiva, un altro è negare a
un’istituzione o amministrazione o partito il diritto di tutelarsi da condotte
scorrette o sospetti dannosi anche prima della Cassazione. I criteri di
prudenza, opportunità, immagine, decoro, “disciplina e onore” (art. 54 della
Costituzione) non sono affatto incompatibili con la presunzione di non
colpevolezza (art. 27): viaggiano su piani paralleli. Se un giovane vuole
entrare nei Carabinieri, deve dichiarare di non avere parenti fino al secondo
grado sotto indagine o processo: se ne ha, anche se quelli magari saranno poi
assolti, non può indossare la divisa. Il garantismo non c’entra nulla. C’entra
il buon nome di un corpo dello Stato che si è dato delle regole e le fa valere.
Ogni club ha il suo statuto e chi vuol farne parte deve rispettarlo: se no
cambia club. Vincenzo De Luca è stato assolto (in primo grado) in uno dei suoi
tanti processi dalle accuse di corruzione, truffa, falso, concussione e
associazione per delinquere. L’anno scorso, quando si candidò a governatore,
era ancora imputato e la legge imponeva alla commissione Antimafia di segnalare
tutti i candidati imputati per reati gravi, tra cui la concussione. La
presidente Rosy Bindi doverosamente lo inserì nella black list, beccandosi
insulti da Renzi e De Luca in nome del “garantismo”. Ora DeLuca&C. son
tornati all’attacco della Bindi con una logica bizzarra: siccome l’hanno appena
assolto e non è più “impresentabile” (almeno per quel processo), allora non lo
era nemmeno l’anno scorso, quando lo era. Anziché contestare la norma
(sacrosanta) che impone all’Antimafia di segnalare i candidati a giudizio per
reati infamanti, si insulta chi la rispetta. Ora, su La Stampa, Mattia Feltri
accusa i 5Stelle di una “conversione al garantismo che non si applica agli
avversari” perché “difendono la Muraro, ma chiedevano la testa di De Luca, Bertolaso,
Capua e Graziano”. Pure qui il garantismo c’entra come i cavoli a merenda:
nessuno ha mai negato ai suddetti il diritto di difesa in tribunale. La Muraro
è iscritta nel registro degl’indagati per reati ambientali legati ai suoi
(omessi?) controlli della monnezza smaltita in alcuni impianti e per concorso
in abuso d’ufficio col dirigente Ama Giovanni Fiscon, che avrebbe violato la
legge per concederle alcune consulenze. Non avendo ricevuto nemmeno l’avviso di
garanzia, né Muraro né Raggi né altri hanno mai visto un rigo del fascicolo per
conoscere l’accusa. Ovvio che la sindaca dichiari al Fatto che, prima di
decidere sull’assessora, vuole leggere almeno l’imputazione. Altrimenti
basterebbe la denuncia di un avversario politico per far scattare l’iscrizione
e l’automatica rimozione di chiunque. Certo, se la Muraro fosse accusata di
associazione camorristica (come il Pd Graziano, poi archiviato) o rinviata a
giudizio (con montagne di carte a disposizione) per omicidio colposo plurimo
(come Bertolaso, ora assolto in quel processo e ancora imputato per
corruzione), o per corruzione, concussione, truffa aggravata, falso e
associazione per delinquere (come De Luca, ora assolto), o per traffico di
virus e altri reati (come la Capua, ora in parte assolta, in parte prescritta,
in parte ancora imputata), la Raggi dovrebbe cacciarla subito a pedate. E, se
non l’avesse fatto, meriterebbe tutta la nostra riprovazione. Ma il garantismo
anche stavolta è gargarismo. I processi si fanno nei tribunali secondo i Codici.
Intanto però i leader e gli amministratori hanno tutto il diritto di cacciare
chi – per cose fatte, accuse o sospetti infamanti – ritengono dannoso per il
buon nome del club. Purché le regole siano stabilite prima, una volta per
tutte, e poi vengano applicate a tutti: amici e avversari.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 4 Ottobre 2016
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