L'impatto ambientale e sanitario dei rifiuti

I rifiuti maltrattati fanno male: lo dice l’Oms e lo dicono le ultime indagini epidemiologiche realizzate sulle ricadute discariche e inceneritori
L’Organizzazione mondiale della sanità lo aveva già ribadito due anni fa nelle sue linee guida per migliorare la qualità dell’aria e con un nuova campagna contro il killer invisibile: l’inquinamento atmosferico. Tra le prime tre priorità, dopo una gestione sostenibile dei trasporti, la riduzione delle emissioni di industrie e centrali, l’Oms mette la corretta gestione dei rifiuti. A partire dal controllo e forte limitazione dei gas emessi dalle discariche, inceneritori e roghi tossici. “Ci sono alternative possibili e a basso costo all'incenerimento dei rifiuti solidi - dice l’Oms - quando è inevitabile, allora le tecnologie di combustione devono essere attuate con severi controlli delle emissioni”.
E lo aveva messo nero su bianco il ministero della Salute, insieme allo stesso Istituto superiore di sanità che smentisce se stesso nelle conclusioni del progetto Sorveglianza epidemiologica sullo stato di salute della popolazione residente intorno agli impianti di trattamento rifiuti a partire dall’Emilia Romagna e la Terra dei Fuochi: solo con la raccolta differenziata al 70%, la riduzione del 10% dei rifiuti prodotti, compostaggio e divieto di conferimento in discarica dei rifiuti indifferenziata, vivremmo più a lungo e meglio.
Se nei dati della commissione europea risultano 155, sulla carta, secondo i dati Ispra, sono 172 discariche autorizzate di rifiuti solidi urbani attive. Solo 30 di esse rispettano le norme comunitarie, ricevendo frazione secca e opportunamente trattata, e sono ancora centinaia le situazioni critiche al nord come al sud. E se lo smaltimento in discarica del tal quale è deleterio per salute e ambiente, non si possono assolutamente escludere ricadute sulla qualità della vita per le popolazioni che vivono intorno agli inceneritori.

Centrale A2A di San Filippo del Mela, Milazzo ph. Vince Cammarata | Fosphoro

Tra terre dei fuochi e colline dei veleni. Dalla Terra dei fuochi in Campania, oggetto anche di un decreto di urgenza nel 2014 dove, come recita l’Iss, “l’esposizione a un insieme di inquinanti ambientali che possono essere emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e alla combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani” è corrisposta l’aumentata mortalità e incidenza di tumori negli adulti e un eccesso di tumori per i bambini. A cui si aggiungono i quasi sei milioni di tonnellate di ecoballe, frutto della passata emergenza rifiuti, a fronte della quale la Commissione europea ha sanzionato la Repubblica italiana, per cui ora è iniziato lo smaltimento verso il Portogallo, e il più grande inceneritore del Sud Italia, quello di Acerra, avviato senza le dovute autorizzazioni ambientali.

La gestione dei rifiuti. Dalle discariche agli impianti di riciclo
Alla Terra dei fuochi del Nord, la provincia di Brescia, dove sono interrati quasi 60 milioni di metri cubi di rifiuti e veleni in discariche autorizzate e fantasma, nel quadrilatero che si estende nell’alta pianura pedemontana tra Iseo, Orzinuovi, Desenzano e Calvisano, e dove è situato l’inceneritore più grande d’Europa che, secondo il piano dello Sblocca Italia, dovrebbe arrivare a bruciare quasi un milione di tonnellate di rifiuti urbani e speciali l’anno.

Ciminiere, Brescia- ph. Rosy Battaglia | Cittadini Reattivi

Alla discarica di Conversano in Puglia, da poco messa sotto sequestro dal giudice per le indagini preliminari. Mentre è in corso il processo di primo grado per disastro ambientale che vede sul banco degli imputati gli amministratori della Lombardi Ecologia, e tra le parti civili il Ministero dell'Ambiente, Regione Puglia, la città di Bari, nove comuni, Legambiente e Wwf, “il percolato ha intaccato le falde acquifere e ci sono emissioni gassose fuori controllo” racconta a Wired, il testimone oculare Domenico Lestingi, ex operaio che lavorava proprio all’interramento dei rifiuti. Ribellatosi, ha denunciato gli illeciti della gestione dell’azienda, perdendo il lavoro “ma riconquistando la dignità”.
Non è esente la Liguria, in chiaro stato di emergenza, situazione denunciata anche da Marco Grondacci, giurista ambientale spezzino. “Con una raccolta differenziata media al 35,9%, la regione Liguria aveva tentato di prorogare ulteriormente la corretta applicazione della normativa Ue in materia di pretrattamento rifiuti prima del collocamento in discarica, ma è stata condannata un anno fa dalla Corte Costituzionale”.
No a nuove fonti inquinanti nelle aree a poco ricambio atmosferico. “La piana di Terni, così come la pianura padana, quella fiorentina o in quella di Bolzano, è un’area con fortissimi problemi di ricambio atmosferico, con elevate concentrazioni di micropolveri, non possono essere installate nuove sorgenti emissive" raccomanda il direttore di Arpa Umbria, Walter Ganapini, già assessore all’ambiente nella Campania dell’emergenza rifiuti e membro onorario del comitato scientifico dell'Agenzia europea dell'ambiente (Eea). Proprio lo scorso maggio il sindaco di Terni ha emesso un’ordinanza per bloccare l’inceneritore di biomasse che bruciava pulper da cartiera con un tasso di umidità, nichel, arsenico e cromo oltre i limiti consentiti dalla legge, emettendo diossine e furani, come accertato da Usl, tecnici Arpa e Noe. “Se lo Iarc ha classificato l’aria che respiriamo satura di micropolveri come Pm10 e il Pm 2.5 cancerogena occorre ripensare ad una strategia pubblica per migliorare la qualità della vita dei cittadini”. Anche per questo regione Umbria e Arpa hanno espresso parere negativo al piano di Valutazione ambientale strategica del ministro dell’Ambiente che vorrebbe promuovere la costruzione, degli otto previsti, di almeno due inceneritori in centro Italia.

Brescia, con inceneritore (in alto a sinistra)- ph. Vince Cammarata | Fosphoro

L'innegabile impatto degli inceneritori sulla salute. “Un inceneritore dotato delle migliori tecnologie a oggi disponibili ed esercito al meglio - di nuovo il richiamo alle tecnologie e alla modalità di gestione non è incidentale - emette particolato, diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici e metalli in misura di molto inferiore agli attuali valori limite di emissione”, scriveva Benedetto Terracini, responsabile del comitato scientifico del rapporto Moniter 2011, Monitoraggio degli inceneritori nel territorio dell’Emilia Romagna.
Proprio il professor Terracini si è trovato, però, a dover affrontare una campagna negazionista sull’impatto sanitario degli impianti di combustione dei rifiuti. Come quella messa in atto dalla Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (Siti) e sostenuta anche da una nota dell’Istituto superiore di sanità, che ha individuato il “termovalorizzatore come ‘strumento adeguato a contrastare’ l'emergenza rifiuti e capace ‘di garantire l’assenza di rischio sanitario per i cittadini che vivono nelle zone limitrofe’". Affermazioni diffuse all’opinione pubblica, proprio a ridosso del varo del decreto sugli inceneritori in agosto, contenente sette verità scientifiche secondo le quali le discariche inquinano più degli inceneritori. Tacendo i risultati di studi proprio come Moniter, voluto dalla Regione Emilia Romagna, che ha analizzato l’impatto sulla salute dei cittadini emiliani che vivono intorno agli inceneritori. Forzatura che lo ha chiamato in campo.
Pur non entrando nel merito del tipo di impiantistica a minore impatto ambientale, il padre dell’epidemiologia italiana Terracini ci ha ribadito: “C’è stato un travisamento dei risultati scientifici da parte degli igienisti sulle conclusioni di Moniter. Conclusioni che sono state redatte con moltissima attenzione. Come comitato scientifico e gruppo operativo le abbiamo curate parola per parola in perfetto accordo: se i risultati sono stati complessivamente rassicuranti, abbiamo rilevato un’evidenza sulle popolazioni che vivono intorno agli inceneritori dell’Emilia, con l’eccesso di esiti sfavorevoli sulla gravidanza, dall’aumento dei parti pretermine agli aborti spontanei. Risultati pubblicati anche sulle riviste scientifiche internazionali”. Per questo Terracini ha chiesto ufficialmente sia alla Siti che al presidente dell’Istituto superiore di sanità, la smentita di tali dichiarazioni.
Ma quali sono i costi per la collettività in termini anche solo di aumentata ospedalizzazione e peggioramento di qualità della vita? Non ci sono, a oggi, studi di economia sanitaria in Italia su questo argomento che quantificano la perdita di salute pubblica. Quello che sappiamo è che inceneritori di vecchia generazione sono ancora attivi. E quelli di seconda o terza generazione, come Brescia, Torino, Acerra, Parma, oltre che a non essere esenti da incidenti, inchieste, mancate autorizzazioni, hanno dimensioni e capacità da cinque a dieci volte più grandi dei vecchi impianti.“Quindi pur emettendo concentrazioni minori di inquinanti producono volumi maggiori che soprattutto in area urbana e industrializzata si sommano alle altre fonti emissive”, conferma Fabrizio Bianchi dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa.

Giovi Altobelli, "mamma coraggio" di Acerra. (Sullo sfondo l'inceneritore) - ph. Vince Cammarata | Fosphoro

L’impatto sulla salute dei cittadini. Finora gli studi e le rassegne sul tema inceneritori e salute, come documenta la rivista scientifica Epidemiologia e prevenzione, hanno riportato indicazioni di rilevanza per alcune cause tumorali, per malattie cardiache e respiratorie e per alcuni esiti avversi della riproduzione come la ricorrenza di aborti spontanei. Oggi sono disponibili diversi studi epidemiologici che hanno purtroppo rivelato l’impatto di impianti chiusi tra il 2013 e il 2015, come quello di Vercelli e Tolentino nelle Marche, o ancora attivi come quello di Arezzo e Busto Arsizio, già a partire dalla ricadute delle micropolveri come Pm10, Pm2,5 e dell’ossido di azoto. Lo studio epidemiologico curato dal Dipartimento di epidemiologia e salute ambientale dell’Arpa Piemonte, pubblicato nel 2015, all’indomani della chiusura dell’inceneritore di Vercelli, attivo dall’inizio degli anni ’70, ha accertato il 60% in più di rischio di mortalità in eccesso rispetto alla popolazione non esposta ai fumi dell’inceneritore. Con picchi per il tumore del colon-retto (più 400%) e del polmone(più 180%). Altre cause di mortalità in eccesso riscontrate riguardano la depressione (rischio aumentato dell’80% e più), l'ipertensione (più 190%), le malattie ischemiche del cuore(più 90%) e le bronco pneumopatie cronico-ostruttive negli uomini (più 50%).
Ad Arezzo, un altro studio epidemiologico, che rientra nel progetto di monitoraggio internazionale HIA21 Valutazione partecipata degli impatti sanitari, ambientali e socioeconomici derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, coordinato dall’Unità di epidemiologia ambientale, dall’Ifc-Cnr di Pisa in collaborazione con l’Asl di Arezzo, ha riscontrato nella coorte di residenti dal 2001 al 2010, grazie alla ricostruzione delle esposizioni ambientali per mezzo di stime di concentrazione del Pm10, eccessi per le malattie cardiovascolari nella classe più esposta del 18%, per le malattie urinarie del 13%. Così come un aumento della mortalità sia per malattie cardiovascolari che per malattie respiratorie acute nelle donne fino al 154% in più dei non esposti.
Nelle Marche, Arpa ha realizzato uno studio di coorte sull’esposizione a inquinamento da Pm10, sulla popolazione residente dell'impianto di incenerimento Cosmari di Tolentino (MC) spento nel 2013. Lo studio ha evidenziato un rischio aumentato di ricovero ospedaliero per tutte le cause (più 15%); rischi aumentati di ricovero per tutte le cause (più 14%). Lo studio ha evidenziato che la popolazione generale esposta a Pm10 tra 0,035-0,075 µg ha un rischio superiore di 2,4 volte di ricovero per le infezioni respiratorie acute, polmonite e influenza rispetto a quella non esposta.
Tra gli ultimi rapporti pubblicati, c’è quello realizzato sugli effetti dell’inceneritore Accam di Busto Arsizio, un impianto per età e tipologia molto simile a quello di Vercelli, con alti livelli di ossido di azoto emessi, la cui chiusura è prevista per il 2017. Lo studio ha identificato i ricoveri per patologie cardiovascolari associati all’esposizione, stimando che circa 60 soggetti sono stati ricoverati almeno una volta per queste patologie nei tre anni di osservazione dello studio, tra il 2012 ed il 2014. Un ricoverato all’anno ogni mille persone con esposizione residenziale a ossidi di azoto superiore a 0,2 µg/m3.
Occorre poi ricordare che è nociva per la salute anche l’esposizione ai gas di fermentazione, come l’acido solfridico, emessi dalle discariche non a norma, prodotti dalla componente umida, non separata dal rifiuto secco, causa accertata di tumori al polmone negli adulti e dell’incremento fino al 10,6% delle infezioni acute alle vie respiratorie dei bambini da zero a 14 anni. Lo dice lo studio del Dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, pubblicato lo scorso maggio sull’International Journal of Epidemiology, che ha analizzato lo stato di salute di 242.409 persone che hanno vissuto vicino a Malagrotta e le altre discariche laziali dal 1 gennaio 1996 al 31 dicembre 2012.

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