Non ho l'età


Siccome la cosiddetta informazione fa di tutto per non far capire come stanno le cose, proviamo a spiegare perché l’Anm di Davigo, per la prima volta nella storia, diserterà l’inaugurazione dell’anno giudiziario. 
Si sa che la nostra Costituzione impedisce al potere politico di influenzare direttamente i magistrati con nomine, promozioni, punizioni e trasferimenti: per tutto questo c’è il Csm.
Per aggirare l’ostacolo e liberarsi di quelli scomodi o premiare quelli comodi, molti governi hanno alzato o abbassato l’età pensionabile a seconda delle convenienze del momento. In principio le toghe andavano in pensione al massimo a 70 anni. Ma nel dicembre 1992 il governo Amato, in piena Tangentopoli, alza il tetto a 72 anni: hai visto mai. Passano dieci anni e a fine 2002 Berlusconi, nella legge finanziaria, fa un altro bel regalo ai (presunti) nemici giurati: potranno lavorare fino a 75 anni. Il perché lo sanno tutti: è una captatio benevolentiae per i vertici della Cassazione, il presidente Nicola Marvulli e il Pg Francesco Favara, che scadrebbero nel 2003 e invece resteranno fino al 2006. Il fatto che spetti proprio a loro decidere sulla richiesta di trasferire i suoi processi a Brescia per legittima suspicione in base alla legge Cirami è tutt’altro che casuale (anche se poi la respingeranno).
Naturalmente la proroga non serve al pg di Milano Borrelli e al procuratore D’Ambrosio: l’uno ha già compiuto 72 anni, l’altro li compirà prima che la Finanziaria passi.
Nel 2004 B. torna parzialmente sui suoi passi, per sventare una nuova, terribile minaccia: Gian Carlo Caselli si candida a procuratore nazionale antimafia al posto di Piero Luigi Vigna, che nel 2005 scadrà dopo due mandati. Non sia mai: meglio Piero Grasso, che però ha una minore anzianità di servizio.
Non resta che far fuori Caselli trafficando, ancora una volta, con l’età pensionabile: il governo B. riesce a varare in pochi mesi ben quattro norme anti-Caselli.
Il 1° dicembre 2004 il Parlamento approva il nuovo ordinamento giudiziario del ministro Roberto Castelli, che fra l’altro proroga Vigna alla Dna “fino al compimento dei 72 anni di età”. Cioè al 1° agosto 2005, sette mesi dopo la scadenza.
Perché mai?
Perché la “riforma” Castelli consente ai magistrati di accedere a incarichi direttivi solo se hanno 4 anni pieni di servizio prima di compiere 70 anni: cioè se non ne hanno ancora compiuti 66.
Ma che senso ha prorogare Vigna fino a 72 e imporre un successore con meno di 66, se i magistrati vanno in pensione a 75?
La risposta è nella carta d’identità di Caselli, che compirà 66 anni il 9 maggio 2005.
Se Vigna va via alla scadenza naturale, Caselli è in corsa;
Se Vigna viene prorogato, Caselli è fuori gioco e Grasso vince a tavolino. Sembra fatta, ma il 16 dicembre 2004 Ciampi respinge la Castelli perché incostituzionale: dunque niente proroga per Vigna. Caselli torna in partita.
Ma ecco pronta la seconda norma contra personam: il 30 dicembre il governo riesuma la proroga a Vigna nel decreto Milleproroghe. Caselli sembra out, ma il Csm denuncia l’incostituzionalità della norma e mantiene il concorso con lui e Grasso candidati.
Terza norma anti-Caselli: un codicillo al Milleproroghe che annulla il concorso fino alla scadenza di Vigna.
Però il Csm, in estate, ne bandirà un altro e Caselli potrà ricandidarsi. Per impedirglielo, ecco la quarta norma anti-Caselli: l’emendamento di Luigi Bobbio (An) al nuovo ordinamento Castelli, che impone fin da subito il limite di età di 66 anni.
In luglio la Castelli passa in tre soli giorni, con la fiducia, tra Camera e Senato e Ciampi, malgrado gli appelli di tanti giuristi, la firma subito.
Per la prima volta nella storia repubblicana, un governo nomina un magistrato (Grasso) facendo fuori per legge il concorrente (Caselli).
Due anni dopo la Consulta dichiarerà quella norma incostituzionale, ma ormai sarà tardi. Intanto, negli stessi mesi, una maggioranza trasversale ha allungato l’età pensionabile per l’ex “ammazzasentenze” Corrado Carnevale: si era dimesso nel 2002 a 71 anni perché imputato per mafia; ma intanto è stato assolto e ora può rientrare in Cassazione per altri tre anni e recuperare quelli perduti fino al 2013, quando ne avrà compiuti 83. I Carnevale non invecchiano mai, i Caselli già puzzano a 66.
Nel 2009 Berlusconi e il ministro Alfano tentano di alzare l’età pensionabile da 75 a 78 anni: tutti parlano di un cadeau al 75enne presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (futuro coimputato di Verdini e Dell ’Utri al processo P4), alla vigilia dell’ultima sentenza su Mills. Ma non ce la fanno. Nel 2014 Renzi ingrana la retromarcia: tutte le toghe a casa a 70 anni. Seguono tre proroghe di un anno. Non si salvano i Caselli, i Maddalena, i Guariniello, i Pomarici, i Sansa, e gli altri big che hanno onorato la giustizia: tutti in pensione anticipata. Si salva invece il presidente della Cassazione Giovanni Canzio, che piace alla gente che piace: da giudice della Suprema Corte aveva assolto Andreotti, Carnevale e Mannino; e da presidente della Corte d’appello di Milano aveva criticato (senza averne alcun titolo) i pm di Palermo per aver osato interrogare Napolitano sulla Trattativa.
Con l’ennesima norma ad personam, nell’agosto 2016 Renzi proroga l’età pensionabile da 70 a 72 anni: non a tutte le toghe, ma solo ai vertici di Cassazione, Corte dei conti e Consiglio di Stato. Cioè principalmente ad Canzium. L’Anm denuncia la minaccia all’indipendenza dei magistrati e così a dicembre si parla di estendere la norma a tutte le toghe prossime ai 70.
Fra queste c’è il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo.
Poi però la sua Procura indaga Lotti&C. per il caso Consip e non se ne fa più nulla.
Guarda un po’, alle volte, quante combinazioni.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano”, 17 gennaio 2017

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