Processo alle intenzioni

In questi anni abbiamo visto cose che voi umani… Abbiamo visto un delinquente naturale nominato premier per ben tre volte. Abbiamo visto corrotti e amici di mafiosi diventare presidenti del Consiglio o del Senato o ministri, e presidenti del Consiglio o ministri diventare corrotti e amici di mafiosi. Abbiamo visto presidenti della Repubblica respingere l’avvocato Previti dal ministero della Giustizia per dirottarlo alla Difesa a causa del suo conflitto d’interessi; spostare Maroni dall’Interno al Lavoro per una condanna per resistenza a pubblico ufficiale; ostracizzare Gratteri alla Giustizia in quanto pm, per giunta incensurato. Ma un capo dello Stato che negasse il ministero dell’Economia a un anziano e plurititolato economista ed ex ministro di Ciampi, no, non era ancora capitato. Dunque siamo ansiosi di leggere uno straccio di dichiarazione o di documento ufficiale, su carta intestata della Presidenza della Repubblica, che espliciti i motivi per cui il professor Paolo Savona non può far parte del governo Conte. È vero che la Costituzione assegna al Presidente il potere di nominare i ministri su indicazione del premier. Ma è pur vero che la scelta di bocciare un ministro dev’essere motivata. Altrimenti si va per antipatie o peggio per divergenze di idee. E i delitti d’opinione, se non andiamo errati, sono stati (quasi) aboliti dopo il fascismo.

Qual è dunque il peccato mortale che vieta a Savona di fare il ministro dell’Economia? Attendiamo lumi da Mattarella e dai suoi loquacissimi (in privato) consiglieri, abituati da una prassi antica e vigliacchetta a far trapelare in forma di “fonti” misteriose quanto smentibili i desiderata del capo, senza mai assumersene la responsabilità. I giornaloni, opportunamente imbeccati, sono pieni di spifferi e maldicenze contra Savonam di cui si ignora, per mancanza di firme e di facce, la paternità e l’attendibilità. Ma che fanno pensare che a Savona non vengano rinfacciate le molte ragioni segnalate dal Fatto di incompatibilità con un “governo del cambiamento”: la veneranda età; la lunga carriera ai vertici di banche, fondi, organi confindustriali e imprese di costruzioni; le intercettazioni, definite “inquietanti” dagli inquirenti, nello scandalo Impregilo sul vincitore già deciso dell’appalto per il fantomatico Ponte sullo Stretto; e la sua prescrizione nel processo che ne derivò. Queste sono valutazioni politiche, in cui il Quirinale non può e non deve entrare, salvo smentire le prassi consolidate in 72 anni di storia repubblicana. Se un uomo di 82 anni non può essere ministro, perché un capo dello Stato fu rieletto a 88?

Se un imputato prescritto non può essere ministro, perché un 9 volte prescritto potè essere premier e viene ancora ricevuto al Quirinale ora che è pure pregiudicato? Di intercettazioni imbarazzanti erano strapieni molti ministri dei quasi tutti i governi, eppure nessun presidente (neppure Mattarella) ebbe mai nulla da ridire. Resta, appunto, il delitto di opinione: Savona è molto critico sull’attuale sistema dell’euro, sull’Ue germanocentrica e sui relativi trattati e vincoli, come ha scritto e detto in varie pubblicazioni e interviste. Ma si dà il caso che, a prendere sul serio ciò che dicono, tutti i leader dei maggiori partiti italiani (oltre ad alcuni premi Nobel per l’Economia) condividano la sostanza di quelle valutazioni: non solo Di Maio e Salvini, ma anche Renzi, B., LeU, FdI ecc. E, dietro di loro, la stragrande maggioranza degli elettori. Solo a +Europa di Emma Bonino va tutto bene così com’è: purtroppo quel partito rappresenta il 2,6% dei votanti. E, in democrazia, il potere non appartiene alla Bce, al governo tedesco o francese, e neppure alla Commissione europea: appartiene al popolo (italiano) e ai suoi rappresentanti. Che sono divisi su molti punti, ma non sull’esigenza di cambiare questa Europa, questo euro, questi accordi e questi trattati. Se Savona si proponesse l’uscita dell’Italia dall’Unione, o anche solo dall’Eurozona, violando accordi e trattati democraticamente recepiti dal Parlamento, il supremo garante di quegli impegni – cioè il capo dello Stato – avrebbe ragione a tenerlo fuori. Ma Savona aspira a essere ministro di un governo il cui premier Conte e il cui programma sancito da un simil-contratto hanno già ribadito la fedeltà all’Ue e ai trattati sottoscritti dai precedenti esecutivi, riservandosi di discuterli con gli alleati secondo le regole della stessa Ue.

Se poi Savona proponesse norme in contrasto con gl’impegni assunti, il Colle potrebbe rifiutare di promulgarle e la maggioranza sfiduciarlo. Ma che abbia questa intenzione, nessuno può saperlo: bisognerebbe convocarlo al Quirinale e domandarglielo. Altrimenti quello istruito a suo carico è un processo alle intenzioni, per giunta in contumacia. Non solo: se insiste con il veto a Savona, Mattarella si mette in una posizione complicata e imbarazzante. Se uscisse vincitore dal braccio di ferro con Conte, Di Maio e Salvini, ottenendo un ministro diverso e a lui gradito, il nuovo titolare dell’Economia sarebbe un “ministro del Presidente”, le cui scelte ben difficilmente potrebbero essere respinte. Se invece ingoiasse il rospo, indebolirebbe se stesso e l’istituzione Presidenza della Repubblica. Se infine il diktat contra Savonam facesse saltare il governo e trascinasse l’Italia a nuove elezioni, la colpa ricadrebbe sul Colle, che fornirebbe una formidabile arma di propaganda ai due partiti che avevano provato - su suo input - a formare un governo politico. E anche in quel caso il Quirinale uscirebbe a pezzi. Anche perché, nei 17 milioni di italiani che han votato M5S e Lega, sorgerebbe una fastidiosa sensazione: che qualcuno voglia punirli perché anche loro la pensano diversamente.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 27 maggio 2018

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