Che libertà di stampa?



Tutti a Bruxelles, ieri, a parlare delle “sfide del giornalismo europeo”, al convegno organizzato da un deputato del Partito democratico. Nessuno a Roma, invece, a discutere di equo compenso con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che aveva invitato Ordine dei giornalisti e Federazione nazionale della stampa a parlare della precarietà della categoria. Troppo offesi per trattare: Ordine e sindacato hanno dichiarato che non si siederanno al tavolo finché i 5Stelle non avranno chiesto scusa ai “giornalisti italiani”.
CHISSÀ DI QUALI giornalisti parlavano i rappresentanti di una categoria lacerata e divisa. Sicuramente non di quel 65,5% degli oltre 50.000 giornalisti privo di contratto e di ogni forma di tutela, essendo il giornalismo l’unico settore italiano dove dal 1997 al 2015 il peso del lavoro autonomo è cresciuto del 760% e dove 8 lavoratori precari su 10 – nel silenzio generale, tranne una meritoria puntata di Report di poche settimane fa – guadagnano meno di 10.000 euro lordi l’anno e uno su due meno di 5.000.
Questi lavoratori avrebbero ben preferito che i loro rappresentanti si precipitassero a Roma, anche se il ricordo dell’ultimo accordo sull’equo compenso brucia ancora, visto che nel 2014 il sottosegretario con delega all’Editoria Luca Lotti (governo Renzi), la Federazione nazionale della stampa e la Federazione italiana editori giornali decisero che fosse equo pagare un giornalista 250 euro al mese (quell’accordo, cui l’Ordine non partecipò, fu bocciato sia dal Tar del Lazio che dal Consiglio di Stato).
Di tutto questo non si è parlato nelle recenti, solenni, iniziative a favore della libertà di stampa. Come non si è parlato della tragica questione delle querele, in particolare quelle temerarie, che stanno concretamente distruggendo la libertà di stampa. I giornalisti meno protetti e più fragili, ormai, evitano sistematicamente di scrivere di argomenti a rischio per il terrore di vedersi portare via la propria casa, mentre i giornali, specie quelli di editori puri, rischiano il collasso.
Proprio nella direzione di aiutare giornali e giornalisti vanno le due proposte di legge del senatore 5Stelle Primo Di Nicola (e sulle quali si misurerà realmente la serietà del Movimento 5 Stelle, che pure conta molti giornalisti eletti, rispetto alla stampa): la prima, perché non ci siano più giornalisti arrestati o inquisiti perché non rivelano le proprie fonti. La seconda per mettere un freno proprio alle querele temerarie, proponendo un sacrosanto risarcimento del giornalista pari alla metà dell’importo richiesto da chi lo ha ingiustamente querelato.
DI QUESTO, allora, chi ha cuore la libertà dei giornalisti dovrebbe occuparsi, oltre a pensare, a mio avviso, a un sistema indiretto di sostegno e incentivi agli editori puri, visto che stare sul mercato oggi è u n’impresa improba per un’azienda editoriale, specie perché le persone sono state purtroppo abituate ad avere le notizie gratis – quelle notizie che leggono avidamente – e cambiare il loro modo di pensare è una sfida complessa che tutti i giornali del mondo stanno affrontando. Un sistema che non ricordi minimamente, però, i vecchi contributi pubblici all’editoria, in cui riviste inesistenti su argomenti di nicchia hanno ricevuto per anni fondi im- pensabili, e così alcuni giornali solo ed esclusivamente grazie al criterio della conoscenza politica.
EPPURE NULLA di tutto questo è stato al centro delle recenti manifestazioni, anche quelle legate a grandi gruppi editoriali, per la libertà di stampa. Si è preferito invocare l’attacco globale ai cronisti, mettendo sullo stesso piano gli insulti dei 5Stelle – sicuramente sbagliati, soprattutto per il rancore creato nell’opinione pubblica verso una categoria che certo privilegiata non è – con le persecuzioni reali in Paesi come Messico o Turchia. Si è parlato della disintermediazione come il male di questo governo, come se i governi precedenti, quello Renzi in particolare, non avessero fatto della soppressione della mediazione giornalistica a favore delle reti sociali la propria cifra. Nessuna menzione, invece, ai conflitti di interessi che sempre nascono quando gli editori hanno altri interessi, come è stato tragicamente dimostrato dal caso Autostrade.
Certo: sentirsi accerchiati da un nemico esterno aiuta a compattarsi e i 5Stelle hanno avuto la colpa di provocare una reazione allarmata che è stata però eccessiva e ideologica. Perché non solo coloro che sono intervenuti non rischiano nulla, né sulla carta né sul web, ma soprattutto – mentre alludevano a dittature e populismi – hanno dimenticato di citare le vere cause che stanno distruggendo la nostra libertà, preferendo puntare sulla persecuzione politica ed evitando di parlare dei problemi in casa. Sui quali non c’è stato, incredibilmente, alcun cenno di autocritica.


Il Fatto Quotidiano, 28 Novembre 2018, di ELISABETTA AMBROSI

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