VILMINORE DI SCALVE (BERGAMO) — Perché il bastoncino
faccia rotolare diritto il "sercol", sui ciottoli delle rampe che
scendono all’antica Pieve, ci vogliono occhio e polpaccio. Come per vincere a
"mondo": un sassolino e un piede che lo segue in volo sopra la croce
disegnata con il gesso sull’asfalto. Giocare non è uno scherzo e bisogna sapere
molte cose per sentirsi felici. Anche da bambini: serve allenamento per entrare
nella libertà. Più un paese, una strada e almeno un cortile, se non si può
correre nell’erba. «Andare in monopattino — dice Eva — se non c’è spazio è
inutile». Ha sette anni ed è nella banda dei 94 bambini di Vilminore di Scalve,
nove frazioni ai piedi della Presolana tra le montagne della Bergamasca. In
agosto si raddoppia: quasi 200 bambini reduci da mesi di città. Soffocati dal
traffico, prigionieri in casa, condannati alla tivù e allo smartphone dei
genitori.
Il sapore della solitudine condivisa svanisce però appena il
naso rientra finalmente dentro l’aria. A Vilminore per un mese si può gridare,
impennare in bici e perfino ridere perché c’è qualcosa da fare. «Per esempio
nascondino — dice Manuel — guardie e ladri, elastico e corda, darsela e
pallone». I divieti puniscono gli adulti e sembra incredibile ma l’idea è
venuta proprio a loro. «In primavera abbiamo deciso — dice — Augusta Magri,
mamma di tre bambini fra 8 e 15 anni — che in estate, dopo cena, le auto
avrebbero risparmiato la strada più abitata dai bambini. Pensavamo di liberarne
una trentina, residenti e figli di chi se ne è andato dal paese per lavorare e
si riaffaccia per le ferie. Invece si danno appuntamento qui da tutta la
valle di Scalve. Tra le 20 e le 22 si spengono i motori, tra le case si gioca e
stop».
Non sono bastate due transenne. Il capo dei vigili,
Gianmaria Pizio, è stato chiaro: «Va bene dire che il paese sceglie i bambini e
riconosce prima di tutto il loro diritto di giocare insieme all’aria aperta —
ha detto — ma a me per fermare le auto serve un’ordinanza». Il sindaco e i due
assessori della giunta l’hanno fatta: «Vilminore chiude causa bambini che
giocano». Fino a fine agosto e tutte le sere. «E non è detto — dice il primo
cittadino Pietro Orrù, 33 anni e due figlie — che si prolunghi in autunno. Qui
si va a funghi e le vacanze non finiscono a Ferragosto, ma con l’inizio della
scuola».
Di giorno, nessun problema. Ai bambini, con i grandi al
lavoro, badano i nonni. I guai erano la sera. «Durante l’anno — dice Anna
Chiara Giudici, mamma di due figli di 11 e 8 anni — a Vilminore è il deserto.
Poi arriva agosto e dopo cena i bambini vanno in giro. Era un pensiero, ci
davamo il cambio per sorvegliare e dare l’allarme. Due transenne hanno fatto il
miracolo». Non se ne sono resi conto subito, ma Vilminore è diventato il «paese
dei bambini». Una notizia. Il simbolo della nazione spopolata che sceglie di
proteggere i suoi figli come una specie in via di estinzione. L’icona
dell’Italia che per educare smette di proibire.
«Venezia e Roma — vietano di tuffarsi e di sedersi — dice
Marco Tagliaferri, operaio detto "Luf" — a Milano e a Brescia non si
può più saltare nei cortili. I parchi gioco urbani vengono blindati e anche i
parroci chiudono i campetti razziati dai bulli. Capisco l’assedio: ma se i
bambini non hanno un posto per loro nel mondo, non ci saranno più». In
montagna, come nelle periferie del mare, è un’emergenza.
A Vilminore 17 neonati e 21 morti nel 2017, 15 nati e 26
morti nel 2018. Negli anni Sessanta, oltre 10 mila abitanti nella valle. Oggi
sono 1500. «Figli pochi — dice Pietro Orrù — i giovani si laureano e non
tornano. Del mio anno siamo rimasti in tre. Tutti gli altri spariti tra
Brescia, Bergamo e Milano. Giocare non è un gioco: per questo siamo ripartiti
dai bambini per la strada». Anche a bagno dentro la fontana, con le labbra
viola e un’anguria tra le mani per galleggiare. La trasgressione per imparare
che nella vita le regole si rispettano.
Due anni fa aveva cominciato Sfruz, in Trentino. «Abbiamo
installato — dice il sindaco Andrea Biasi — il cartello "Attenzione,
rallentare, in questo paese i bambini giocano ancora per strada". Invece
di minacciare multe abbiamo parlato al cuore di chi guida: è servito, anche ai
vecchi per attraversare». Tra le case sotto la diga del Gleno però hanno fatto
più di un passo avanti. Non solo strada chiusa d’estate per esigenze
d’infanzia. Hanno inaugurato pure il «pedibus ». I bambini si riuniscono
all’angolo della farmacia e si prendono per mano. Due genitori, in testa e in
coda al corteo, al mattino li accompagnano in classe a piedi, lungo il
chilometro di provinciale che conduce alla scuola. Quando fiocca, licenza di
palle di neve ed è una festa.
«Non abbiamo pensato ai villeggianti — dice Angela Romelli,
mamma di due figli di 3 e 7 anni — ma a chi resta. Se lo Stato ci leva i
servizi, noi ci mettiamo la gente. Chiudi una strada e vedi che i bambini giocano
e i genitori parlano. Le porte sono aperte, si entra e si esce senza dirlo.
Nessuna nostalgia: ma così la vita è un’altra cosa, si è in famiglia e fa molto
meno male». Finisce tutto alle 22, dopo che già è buio.
Andrea e Sofia, Martina e Carmine, Chiara e Carlo, Marco e
Diana irriducibili tra asilo e terza media, escono dai loro nascondigli e
rinunciano a «fare tana». Bagnati da un temporale prendono le transenne che
proteggono il loro mondo dell’estate e riaprono la strada all’universo chiuso
fuori. «Ecco — dice Martina — fatto. Si va avanti domani». Non disubbidiscono
nemmeno in agosto. Nel paese dei bambini è la disciplina a regalare la felicità
di dimenticarsi di stare sempre attenti. Lo sanno, non occorre dirlo.
di Giampaolo Visetti, La repubblica, 10 agosto 2019
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