Ti importa del pianeta o fai finta?


Quella contro i cambiamenti climatici è la sola sfida da non perdere. Lo spiega lo scrittore in arrivo al Festival di Mantova


Chi nega i cambiamenti climatici rifiuta le conclusioni raggiunte dal 97 percento degli scienziati che si occupano di clima: il pianeta si sta riscaldando a causa delle attività umane. E noi, che invece dichiariamo di accettare la realtà dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo? Magari non pensiamo che gli scienziati raccontino bugie, ma siamo in grado di credere a quello che ci dicono? Credere dovrebbe immancabilmente far sorgere in noi l’urgente imperativo etico che ne consegue, smuovere la nostra coscienza collettiva e renderci pronti a compiere piccoli sacrifici nel presente per evitare sacrifici epocali in futuro.
Accettare la verità sul piano intellettuale non ha niente di virtuoso in sé e per sé. E non ci salverà. Da bambino mi dicevano spesso: «Sai che non si fa», quando facevo qualcosa che non avrei dovuto fare. E quel sapere faceva la differenza tra un errore e una colpa.
Esattamente come sappiamo che il pianeta si sta riscaldando a causa delle attività umane, sappiamo come cambiare le nostre attività per fermare il riscaldamento globale. Il metodo per prevenire il nostro suicidio collettivo non è un mistero né un segreto né è un punto di controversia scientifica. Servono cambiamenti strutturali. Serve una transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili a livello globale. Serve imporre qualcosa di simile a una carbon tax, i ntrodurre l’obbligo di indicare sulle etichette l’impatto ambientale dei prodotti, sostituire la plastica con soluzioni sostenibili, costruire città a misura di pedone. Serve affrontare in modo etico il rapporto tra l’Occidente e il Sud del mondo. Potrebbe persino servire una rivoluzione politica. Questi cambiamenti esigono passaggi che gli individui non sono in grado di attuare da soli. Ma a parte il fatto che le rivoluzioni collettive sono fatte dagli individui, guidate da individui e rafforzate da migliaia di rivoluzioni individuali, non avremo nessuna possibilità di salvare il pianeta se gli individui non prenderannol’individualissima decisione di vivere in modo diverso. Va benissimo riciclare, va benissimo piantare alberi, va benissimo evitare sprechi. Ma esistono quattro cose che hanno un impatto maggiore delle altre e senza le quali non abbiamo speranza di salvare il pianeta: avere un’alimentazione a base vegetale, evitare di viaggiare in aereo, vivere senza macchina e fare meno figli. Di queste, quella più pressante e urgente (perché contribuisce maggiormente alla produzione di metano e protossido di azoto, i due gas serra più nocivi) è anche la più facile da mettere in pratica: ridurre il consumo di prodotti animali, in particolare di carne bovina e formaggi.
Quindi dovremmo reagire diventando tutti vegani? No. (Io non sono vegano.) Il modo migliore per sottrarsi a una scelta impegnativa è far finta che le opzioni siano solo due. Tra l’essere vegani o carnivori smodati esistono molte opzioni alimentari che, anche se magari non possiedono un nome e una definizione precisi, sono al tempo stesso possibili per la maggior parte delle persone e necessarie per salvare il nostro pianeta.
La valutazione più completa sull’impatto ambientale dell’industria dell’allevamento è stata pubblicata su Nature nell’ottobre 2018. Dopo avere analizzato i sistemi di produzione alimentare di tutti i paesi del mondo, gli autori giungono alla conclusione che mentre la popolazione denutrita che vive in povertà potrebbe in realtà mangiare una quantità leggermente maggiore di carne e latticini, il cittadino medio mondiale dovrebbe passare a un’alimentazione a base vegetale per prevenire danni ambientali catastrofici e irreversibili. Il cittadino medio americano e britannico dovrebbe tagliare i consumi di carne bovina del 90 percento e di latticini del 60 percento. Lo stesso vale grossomodo per gli europei continentali.
È probabile che suonerà come una grande scocciatura per quasi tutti i lettori. Cambiare il nostro modo di mangiare è semplice rispetto alla conversione della rete energetica mondiale o all’introduzione di una carbon tax nonostante il parere contrario di lobby molto influenti o alla ratifica di un importante trattato internazionale sulle emissioni di gas serra – ma non è semplice.
Però la nostra situazione è questa. È inequivocabile e urgente. I cambiamenti climatici non sono una malattia che può essere gestita, come il diabete; sono come un tumore maligno che deve essere rimosso prima che la moltiplicazione delle cellule cancerogene risulti fatale Non basta essere seri su quanto ci dice la scienza dei cambiamenti climatici; dobbiamo essere seri nelle nostre reazioni. E prendersela con i cattivi non è un’azione che vale di più che sfilare alle manifestazioni con i buoni o inoltrare agli amici le ultime ricerche o pontificare alle cene riempiendosi la bocca con tutte le parole giuste mentre ci si riempie lo stomaco con tutti i cibi sbagliati. «Dobbiamo fare qualcosa». È la frase che sembra essere sulla bocca di tutti, lo slogan ufficioso del momento. Eppure quasi nessuno fa niente, a parte ripetere che bisogna fare qualcosa – come se lamentarsi dell’inazione dei nostri leader sia di per sé un’azione.
Non possiamo salvare le barriere coralline. Non possiamo salvare l’Amazzonia. È improbabile che riusciremo a salvare le città costiere. L’entità delle perdite irreparabili è tale da darci quasi la sensazione che qualunque ulteriore sforzo sia inutile. Ma solo quasi. Milioni di persone – forse decine o centinaia di milioni – moriranno a causa dei cambiamenti climatici, e il loro numero conta. Centinaia di milioni di persone, forse miliardi, diventeranno rifugiati climatici. Il numero dei rifugiati conta. Conta quanti giorni all’anno i bambini avranno la possibilità di giocare all’aperto, quanto cibo e quanta acqua ci sarà, di quanti anni sarà l’aspettativa di vita media.
Questi numeri contano, perché non sono solo numeri – ciascuno corrisponde a un individuo, con una famiglia, con manie e fobie, allergie e cibi preferiti, sogni ricorrenti e una canzone fissa nella testa, impronte digitali uniche e una particolare risata.
Noi sappiamo quello che dobbiamo fare. Dobbiamo mangiare meno prodotti di origine animale, prendere meno l’aereo, usare meno la macchina, fare meno figli. Forse davvero le nostre menti e i nostri cuori sono fatti in un modo che non ci permette di accettare quello che sappiamo essere vero. Forse è il momento di smettere di fare soltanto finta che ci importi. Ciascuno di noi prenderà la propria decisione. La somma di queste decisioni sarà il nostro futuro.

*L’autore Jonathan Safran Foer è nato nel 1977

di Jonathan Safran Foer, La repubblica, 4 settembre 2019


Commenti