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giorgio.elitropi
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Abbiamo già scritto che, quando tutto sarà finito, sarebbe
una tragedia tornare alla normalità di prima, perché prima nulla era normale.
Ma, se non ci diamo da fare per convincere un po’ di gente, riaprirà presto
quel gigantesco manicomio dove un 99,9 per cento di matti che si credono sani
tratteranno da matti lo 0,1 per cento di sani. Ieri, tanto per cambiare,
Repub blica celebrava se stessa (“Che cos’è Repubblica e perché ci attaccano”)
con la scusa di celebrare il fondatore Eugenio Scalfari che compiva 96 anni (a
proposito, auguri, Eugenio). Purtroppo l’autopompa era sormontata da un
titolone a tutta prima pagina: “La prima cosa bella”. Dove la prima cosa bella
erano gli appena 525 morti e 4.316 contagiati del giorno prima. Persino Libero
aveva un titolo più azzeccato: “La domenica delle salme”. Una
prece. Intanto, sul Corriere della Sera, il direttore Luciano Fontana,
brava persona e ottimo giornalista, si augurava pensoso che “questa crisi
chiuda l’èra dell’incompetenza”. E ripeteva la giaculatoria con cui gli
establishment si autoconsolano per non averne mai azzeccata una: quella secondo
cui il coronavirus segnerebbe la sconfitta dei “populisti”( per definizione“incompetenti”, “impreparati” e “improvvisati”) e la rivincita dei
“competenti” (per definizione: le classi dirigenti al potere nel mondo fino a
un paio d’anni fa). La prova? Adesso “pendiamo dalle labbra di medici e
scienziati” e“riscopriamo quanto sia importante la formazione, la ricerca, la
competenza”. Ora, che nel pieno di una pandemia, tutti ascoltino i medici e gli
scienziati, non è una grande scoperta e neppure una grande novità: per lo
stesso motivo, quando c’è una crisi finanziaria come quella partita nel 2008,
si ascoltano gli economisti; e, quando esplodono guerre e offensive
terroristiche come dopo l’11 settembre, si ascoltano strateghi militari e
studiosi di geopolitica. Il guaio è che gli economisti non avevano previsto la
crisi finanziaria del 2008; strateghi e geopolitologi non avevano previsto né
l’11 settembre, né al Qaeda, né l’Isis; e medici e scienziati non han previsto
(salvo alcuni, ma molto vagamente in base ai cicli storici) la pandemia del
2020 e ora che ci siamo dentro non hanno la più pallida idea di come uscirne.
Basta sentirli parlare di mascherine, tamponi, test ematici, vaccini e terapie
per capire che brancolano nel buio (come ammettono i più intellettualmente
onesti) e la pensano l’uno diversamente dall’altro. Se ogni Regione va per
conto suo non è solo perché i “governatori ”, da quando li chiamiamo
così, si credono tutti Napoleone.
Matteo Salvini è un curioso personaggio. Prima vuol chiudere
tutto, porti, centri di accoglienza, si mette lui stesso al volante della
ruspa. Poi all’improvviso, cambia idea. Vuole aprire le chiese (quelle chiese
con cui ha avuto contrasti per la smania di chiudere) per invocare “la
protezione di Maria” dal coronavirus. Ma scusa, se vuoi pregare puoi farlo
anche in bagno gli ha risposto Fiorello, e non si poteva dire meglio. Lui per
primo ha dimostrato che si può pregare ovunque, live dalla
D’Urso o sulla spiaggia con il mojito in una mano, il
rosario nell’altra e le cubiste al posto dei chierichetti. Ma forse a Salvini
non interessa pregare; gli interessa farsi vedere quando prega, e che chi prega
si faccia vedere. Allora, se non lo ha convinto Fiorello, potrebbe convincerlo
Alessandro Manzoni; là dove, nei Promessi sposi, si narra della processione per
le vie di Milano, per invocare la protezione di San Carlo dalla peste (la
storia si ripete): “Ed ecco che il giorno seguente, mentre ancora regnava
quella presuntuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la
processione dovesse aver troncato la febbre, le morti crebbero in ogni classe,
in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che
non ci fu chi non ne vide la causa, o l’occasione, nella processione medesima”.
In quegli anni i milanesi non avevano né Fontana, né Gallera, né Burioni era
ospite fisso a Che tempo che fa (o che fu), quindi per certi versi sono da
scusare. Ma oggi?
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