Inceneritori col trucco: guasti, tossici, poco utili


I termovalorizzatori italiani non sono riforniti correttamente di rifiuti e quindi sono nocivi. A Milano, nel Gallaratese, picco di mortalità e ricoveri. Gli esperti: se si parla di emissioni è un suicidio produrre energia incenerendo

Il dibattito sui termovalorizzatori si è riacceso. Il decreto Aiuti passato al Senato ha attribuito poteri commissariali al sindaco Roberto Gualtieri per gestire i rifiuti di Roma e il primo cittadino ha già detto che il nuovo termovalorizzatore sarà “un investimento remunerativo” con procedure di gara, progetto, proposte, offerte. Al di là delle ripercussioni politiche e del contributo dato alla crisi di governo, avviare un nuovo termovalorizzatore può apparire positivo o negativo a seconda della prospettiva. In Italia l’impiantistica è ferma, l’ultimo tentativo di sdoganare gli inceneritori risale allo Sblocca Italia di Renzi ed è stato fermato dalla Corte costituzionale. I termovalorizzatori, infatti, non sono la panacea di tutti i rifiuti. Il loro utilizzo dovrebbe arrivare solo al termine di un ciclo di trattamento il più virtuoso possibile, per smaltire gli scarti ultimi e ridurre quel che finisce in discarica. Invece spesso si sceglie l’iter inverso.


LA SITUAZIONE GLI IMPIANTI E LE DISCARICHE

A oggi in Italia ci sono 37 termovalorizzatori. La maggior parte è al Nord, dove sono attivi 26 impianti, di cui 13 in Lombardia e 7 in Emilia-Romagna: nel 2020 hanno trattato circa 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, circa il 74,5% di quelli inceneriti al Nord. Altri 11 sono al Centro e al Sud, che hanno trattato circa un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti urbani. Parallelamente, ci sono 383 discariche che smaltiscono venti milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali. La presenza degli inceneritori divide i cittadini e crea scompiglio e proteste.

Molto spesso, come scelse di fare Silvio Berlusconi per l’inceneritore di Acerra – che oggi su richiesta di a2a e con l’appoggio del presidente della Campania, Vincenzo De Luca, pare destinato a essere ampliato con una spesa di 70 milioni di euro almeno – devono essere militarizzati. Una soluzione allettante per il leader di Azione, Carlo Calenda: “Rigassificatori e termovalorizzatori, se necessario, militarizzando le aree in cui devono esserci”, ha detto qualche giorno fa presentando il suo “Patto Repubblicano”.

A oggi gli impianti esistenti paiono funzionare per lo più al massimo delle loro capacità anche perché, di nuovo, lo Sblocca Italia ha imposto alle Regioni di rivedere le autorizzazioni sul cosiddetto “massimo carico termico”, classificando gli impianti come recupero e non smaltimento, favorendo così lo spostamento verso la piena capacità operativa (anche se, ovviamente, in alcune situazioni potrebbe restare più “conveniente” la discarica).


MENO SCARTI? DIPENDE DALLA CONVENIENZA

Alcuni esperti ci spiegano infatti che gli inceneritori non bruciano solo rifiuto urbano, ma anche una parte di rifiuto speciale, quindi quello industriale o quello che decade dai Tmb (anche nel Lazio), insomma gli “avanzi” del trattamento dei rifiuti urbani. I rifiuti speciali non hanno però il vincolo della pianificazioni: possono andare nelle altre Regioni (anche se la sentenza della Corte Ue ha recentemente messo in guardia su tale pratica) e quindi possono essere destinati alla soluzione economicamente più conveniente, come ad esempio la discarica in altre Regioni. Se si volesse risparmiare, insomma, paradossalmente si potrebbe scegliere di spedire quei rifiuti in discarica altrove, anziché trattarli – e incenerirli – nella propria Regione.

Secondo i dati Ispra, nel 2019 il 95,4% dei rifiuti urbani smaltiti in discarica e il 48,8% di quelli inceneriti sono stati sottoposti a trattamento preliminare in 130 impianti di trattamento meccanico biologico aerobico (Tmb), di cui 27 con il solo trattamento meccanico (Tm). “In realtà, spesso viene fatto per poter riclassificare, a prescindere dai risultati del trattamento, i rifiuti urbani come rifiuti speciali – spiega l’ex magistrato Gianfranco Amendola – consentendo, quindi, vista la cronica carenza di controlli, di aggirare obblighi e divieti per rifiuti urbani che sulla carta vengono spacciati come destinati a riciclo ma invece sono solo separati umido-secco”.

In mezzo, c’è il problema dei dati sul riciclo. L’italia è molto virtuosa nella raccolta differenziata, che negli ultimi anni è cresciuta progressivamente. Ma spesso i dati sono computati solo al momento della raccolta del rifiuto e non al termine del trattamento. “Specie per le plastiche – continua Amendola – si computano come riciclati rifiuti che sono stati oggetto di raccolta differenziata ma non vanno a riciclo in quanto, in Italia, la raccolta è, spesso, di pessima qualità e non può essere, quindi, tutta immessa al riciclaggio”. I termovalorizzatori finiscono per ingoiare e bruciare davvero di tutto. Solo recentemente l’ue ha inserito l’obbligo di conteggiare solo il riciclo netto.


LA GERARCHIA MANCANTE INCENERIRE COME SCORCIATOIA

L’UE, in verità, prevede una gerarchia ben precisa nel trattamento dei rifiuti: prima la riduzione della loro produzione a monte, poi il riciclo e compostaggio, ed infine l’incenerimento e la discarica. Le attuali proposte, invece, rischiano di andare, nonostante le intenzioni, in direzione opposta. Tanto è vero che Bruxelles raccomanda agli Stati membri di non “esagerare” con la termovalorizzazione per evitare che sia di ostacolo ad “obiettivi di riciclaggio più ambiziosi”. E solo in caso di insufficienza delle prime due opzioni, la termovalorizzazione viene accettata come male minore rispetto allo smaltimento in discarica.

Ai fini della transizione ecologica, infatti, la tassonomia Ue non include più i gli inceneritori tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici e, anzi, per le linee guida della Commissione l’incenerimento dei rifiuti va considerato “attività che arreca un danno significativo all’ambiente”. Tutti i più recenti strumenti di finanziamento UE, ci spiega a tale proposito Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe, inclusi i Fondi Regionali ed i Recovery Funds ora escludono l’incenerimento dalle opzioni finanziabili. I costi degli inceneritori, poi, crescono sempre più, gli ultimi dati in Italia erano intorno ai 150 euro a tonnellata. In prospettiva i costi potrebbero aumentare ulteriormente, e dunque convenire sempre meno. Gli inceneritori di vecchia generazione erano infatti sovvenzionati, finanziati parzialmente anche coi fondi di sviluppo regionali (soprattutto al Centro-Sud). Ora, invece, ogni nuovo inceneritore dovrà affrontare il 100% dei costi di investimento col ricorso al mercato e non ci sono più neanche i finanziamenti a tasso agevolato della Bei. Affinché non siano anti-economici, infine, gli inceneritori vanno anche nutriti. Altrimenti cosa bruciano? Esigenza in contrasto con la limitazione del commercio di oggetti e imballaggi che non possono essere riutilizzati o riciclati o la messa al bando dell’usa e getta. L’annacquamento della direttiva Ue sulla plastica monouso nella legge di recepimento in Italia ne è un esempio lampante, come pure la sparizione dai radar dalla plastic tax.


IL MITO DELL’ENERGIA NE RICAVIAMO BEN POCA

Nella narrazione sugli inceneritori, poi, trova ampio spazio la questione energetica. Si dice che potrebbero aiutare a raggiungere l’indipendenza dalla Russia. Eppure, secondo i dati degli stessi sostenitori dell’incenerimento, se invece di esportare rifiuti li utilizzassimo per ricavarne energia, potremmo coprire l’1,4% del fabbisogno nazionale, quindi davvero ben poco (calcoli sul Mattino di Daniele Fortini, presidente di Retiambiente spa). Un altro dato arriva invece da Utilitalia: “I 37 inceneritori – spiegavano qualche mese fa – producono ogni anno circa 6,7 milioni di Mwh (tra energia elettrica e termica) che corrispondono a circa il 2,2 per cento del fabbisogno nazionale”. Se pure si incenerisse al massimo di quanto concesso dalle direttive Ue (che impongono almeno il 65% di differenziata e discarica per un massimo del 10%), si potrebbe salire al 5%.


L’INQUINAMENTO INEVITABILE C’È PURE PER QUELLI PIÙ NUOVI

L’energia da inceneritore, in ogni caso, è altamente inquinante, anche nel caso dei cosiddetti termovalorizzatori “di ultima generazione”, che abbattono le emissioni di alcune sostanze ma fanno poco sui gas serra. “La produzione di energia tramite incenerimento è un argomento che poteva avere un senso 30 anni fa – spiega Favoino –. Produciamo energia così sostituiamo altre fonti fossili. Ma all’epoca il mix energetico medio era fatto in prevalenza di petrolio, carbone e gas fossile, con un’impronta carbonica media di circa 600-700 grammi di CO2 per ogni kwh prodotto.

Oggi, invece, il mix energetico medio nazionale e quello europeo, abbastanza allineati, sono attorno ai 250 grammi di CO2 per ogni kwh, mentre quella dell’incenerimento è circa tripla. Dal punto di vista delle strategie di decarbonizzazione e lotta al cambiamento climatico, dunque, produrre energia via incenerimento è un suicidio”.


di Virginia Sala, Il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2022

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