La faccenda è riassumibile facilmente. Per Italcementi bruciare 100 mila tonnellate all'anno di CSS non potrà creare alcun danno alla salute dei cittadini. Alcuni sindaci (amministrati da uomini di destra e di sinistra) la pensano un po' diversamente e contestano lo studio (commissionato dalla stessa Italcmenti all'Università di Tor Vergata a Roma) secondo modalità e metodo scelti dal committente...
Uno dei migliori resoconti che abbia mai letto sulla vicenda, che affonda nella notte dei tempi. Merita di essere letto tutto d'un fiato. Intanto si scoprono che report allarmanti di Ats sono spariti, documenti richiesti non sono mai stai visionati, qualche buontempone (che fa pure il sindaco, NdR) non ha ancora ben capito che il CSS, cioè i Combustibili Solidi Secondari, un bel edulcorato nome che nasconde gomme, pneumatici e tanta bella plastica, non sarebbe una "fonte fossile" (ma scommetto che un mio allievo di seconda invece darebbe un'altra risposta). Poi vieni a sapere che chi si oppone "è un comunista contrario al progresso"...
Complimenti a Ersilio Mattioni de Il Fatto Quotidiano. Speravo vivamente che anche a Bergamo si potesse discutere in questi termini la faccenda.
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È esattamente ciò che sostengono i comuni contrari: “Abbiamo nominato un consulente con una lunga esperienza in questo campo (Stefano Scarselli, biologo specialista in biomonitoraggio. ndr) che ha rilevato come lo studio di Tor Vergata adotti un modello inconsueto, suddividendo l’area delle ricadute in zone industriale, agricola e residenziale, che si collocano a macchia di leopardo attorno al cementificio”. Il risultato è che “la popolazione studiata risulta disomogenea rispetto alla distanza dal camino di Italcementi e questo preclude una valutazione diretta e puntuale dell’eventuale rischio sui cittadini più esposti”. L’obiezione è chiara: “Uno studio epidemiologico non dev’essere una super media generale tra i livelli di inquinamento di un territorio vasto, ma deve prendere in esame la popolazione più colpita”.
Sulla stessa linea dei sindaci anche i due comitati ambientalisti, che lo scorso 2 agosto hanno chiesto e ottenuto un colloquio con il presidente della provincia di Bergamo. “Lo studio presentato
non adotta la modalità ‘classica’, cioè la suddivisione dell’area delle ricadute in diverse sottoaree ad alta, media e bassa esposizione. Tale approccio è alla base di tutti gli studi condotti sulle grandi industrie e in particolare sugli inceneritori lombardi (Milano, Valmadrera e Busto Arsizio). Questo approccio inoltre è utilizzato anche nei due grandi programmi di monitoraggio degli impianti di incenerimento dei rifiuti in Piemonte e in Emilia Romagna: è con dolore e imbarazzo che constatiamo che la nostra regione, che detiene il record degli impianti (13 inceneritori e 3 cementifici che bruciano rifiuti) non attua alcun tipo di monitoraggio epidemiologico”. E ancora: “Questo studio non è in alcun modo credibile nello stabilire che le emissioni del cementificio non abbiamo effetti sostanziali sulla salute”, mancando inoltre “dati recenti sul tumore del polmone e sulle gravidanze”. Argomentazioni che hanno convinto il presidente Gandolfi ad avviare una riflessione, che potrebbe portare la Provincia di Bergamo a chiedere un approfondimento, una sorta di supplemento all’indagine epidemiologica. Questo congelerebbe il rilascio dei permessi a Italcementi per un anno circa.
Non sembra irrilevante, da ultimo, il fatto che la richiesta di Italcementi si collochi, sostengono i comitati, “in un contesto regionale di totale deregolamentazione della combustione dei rifiuti. Nel 2019 la Lombardia ha bruciato 900mila tonnellate di spazzatura di altre Regioni e non c’è un limite alla quantità che può essere incenerita dagli impianti del nostro territorio”. L’osservazione è una risposta a chi sostiene che l’aumento dei rifiuti nel forno di Italcementi produrrà una riduzione dei rifiuti negli altri inceneritori della zona. “La chiamano economia circolare, ma in un contesto di deregulation è solo un’economia del profitto privato a scapito della salute pubblica”.
Non ha invece dubbi sulla bontà del progetto il sindaco di Calusco, Michele Pellegrini, che guida il piccolo comune della Bergamasca sede del cementificio – poco più di 8mila abitanti – dal 2017. “Quando arrivai qui nel 1959 – racconta – vivevo di fianco all’impianto di Italcementi. Ogni giorno c’era la ‘neve’, tre centimetri di polvere bianca lungo le strade. Quelli erano problemi, oggi la situazione è molto migliorata”. Di professione chimico, il sindaco invita a lasciare da parte la politica: “L’impianto smetterà di usare un combustibile di origine fossile per passare al cosiddetto “Css”, molto meno inquinante. La questione è solamente tecnica”. Ma perché i comitati e cinque Comuni contestano il progetto del cementificio e solo Calusco è favorevole? “Abbiamo un approccio differente, noi di centrodestra. Se i dati ci dicono che la salute pubblica non corre rischi, siamo per lo sviluppo. Gli altri enti sono tutti governati dal Pd e dai loro
amici di sinistra. La pensano diversamente”, taglia corto Pellegrini. Che però sembra ignorare un elemento degno di nota: ai comuni contrari si sono aggiunti anche Cornate, Merate e la Provincia di Lecco, tutti a guida centrodestra, che hanno chiesto di partecipare alla Conferenza dei servizi perché “preoccupati” delle ricadute ambientali.
La Provincia di Lecco si è spinta oltre, dichiarando il proprio appoggio al documento dei sindaci che si oppongono al progetto e contestano lo studio di Tor Vergata. Di certo Italcementi, all’interno di una legittima logica aziendale, ha saputo essere persuasiva con il comune di Calusco. La multinazionale della famiglia Pesenti, comprata nel 2015 dai tedeschi di HeidelbergCement, ha già versato nei pubblici forzieri 2,6 milioni di euro per il secondo lotto della tangenziale. Se per il sindaco Pellegrini si tratta di una semplice “compensazione ambientale, che non sarà l’unica”, per l’opposizione “Italcementi fa quello che vuole e questa giunta non ha le mani libere. Basti pensare che l’azienda è persino diventata proprietaria di una strada, che potrebbe chiudere da un giorno all’altro. Senza dimenticare – spiega il capogruppo d’opposizione, Lino Cassese – quello che accadde con la ferrovia: era stato promesso uno scalo ed era stato firmato un accordo, ma poi Italcementi cambiò idea”.
Lo scalo ferroviario avrebbe risolto parecchi problemi. Non ultimo il traffico di mezzi pesanti che invade le piccole e inadeguate strade provinciali a una corsia. E che con 110mila tonnellate di rifiuti da trasportare su gomma è destinato a esplodere. Italcementi, per quella promessa non mantenuta, ha pagato una fidejussione da 600mila euro. I Comuni l’hanno incassata e, per dirla con il sindaco Pellegrini, “ormai è un capitolo chiuso”. La storia di questo cementificio che ambisce a diventare inceneritore comincia nel 2012, è ricca di colpi di scena e presenta un giallo senza soluzione. Nel 2015 Ats Bergamo redige un allarmante rapporto sulla salute pubblica, che però non viene reso noto. Soltanto anni dopo si viene a sapere dell’esistenza di questo report, che poi sparisce nel nulla. I comitati hanno richiesto invano ad Ats di renderlo pubblico.
E lo scorso primo agosto a Calusco, durante un consiglio comunale convocato d’urgenza per discutere la mozione della minoranza sul cementificio, il capogruppo Cassese ne ha chiesto conto al sindaco. La risposta di Pellegrini ha lasciato tutti basiti: “Certo, ricordo di averlo letto. Ma non ce l’ho più, perché il file si è ‘bruciato’ nel computer del Comune”. “Bruciato”, come forse bruceranno nei camini di Italcementi 110mila tonnellate di rifiuti in un anno. Tutti sembrano avere una gran fretta di concedere l’autorizzazione agostana. Tanto che alle osservazioni critiche di sindaci e comitati hanno risposto a tempo di record gli esperti di Tor Vergata: quattro paginette per ribadire che le emissioni del cementificio di Calusco sono “ampiamente al di sotto delle soglie di criticità”. Il documento è arrivato sul tavolo dalla Conferenza dei servizi poco prima che si chiudessero i lavori, impedendo così qualsiasi replica. Game over. Sempre che la provincia di Bergamo, alla fine, non abbia il coraggio di dire no.
di Ersilio Mattioni, Il Fatto Quotidiano, 6 agosto 2022
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