Lo strano caso dell'Atalanta



“Doni con noi hai chiuso”. Quando la giuria popolare è più efficace di quella dei tribunali. Scosso dal calcio scommesse, il popolo bergamasco si è stretto attorno al suo club emettendo la condanna definitiva nei confronti dell’ex-capitano. Domenica contro il Milan, il vecchio stadio si è riempito dalla terra al cielo, a dimostrazione della passione che abbraccia questo club molto particolare.

Lo stadio annerito di gente, stipata come solo negli stadi di una volta, quelli che non avevano seggiolini ordinati, in Italia non si vede quasi mai. Solo Milano, Torino, Napoli e a volte Roma offrono colpi d’occhio decorosi, altrove solo accecanti deserti o grigiori di cemento attorno a poche migliaia di spettatori. Violenza, tessere del tifoso, costi, difficoltà di accesso e scomodità in cinque anni hanno dimezzato le presenze della Serie A, allontanando passioni e legandole ai divani davanti alla famelica tivù. A Bergamo no.

Domenica è arrivato il Milan e tutto come una volta, intesa come anni Settanta, con il vetusto stadio di Bergamo stipato dalla terra al cielo. In un momento difficile per il club bergamasco, il cuore ha risposto battendo forte per ribellarsi al fango rovesciato dal calcioscommesse.

Ripudiato per sempre il figlio prediletto Cristiano Doni dopo il tremendo tradimento patito, i bergamaschi hanno rimboccato le maniche come loro costume e hanno stretto tra le braccia la loro Atalanta – uno dei tanti casi in cui è una dea a essere protetta, a dimostrazione che sono gli umani a creare e amare le divinità. La squadra nerazzurra è stata definita “caratteriale” dall’allenatore del Milan Allegri, un bel modo toscano per dire che si fa un mazzo e non molla mai, correndo, picchiando. C’è voluto un rigore regalato e inventato, domenica, per metterla al tappeto.

Il vecchio impianto traboccante di gente – “Stadio Atleti Azzurri d’Italia”, costruito nel 1928, il cui nome per esteso richiama le pomposità del ventennio in camicia nera e pare strano che nella culla della Lega secessionista quel nome non l’abbiamo ancora sostituito – è la dimostrazione di come la passione, tradita da gesti imperdonabili, si alimenti dalle sue stesse fragilità. L’Atalanta, per le malefatte di colui che vedeva come presidente il giorno che avrebbe smesso col calcio, ha pagato già un prezzo con la penalizzazione di sei punti in campionato, ma rischia e teme di dover incassare altre sanzioni per responsabilità oggettiva. In tutti questo sei mesi, i tifosi sono passati dal garantismo iniziale sulla buona fede del loro capitano al dubbio, dal dolore alla rabbia. Ma non è mai stato il momento di abbandonare.

Quello stringersi tra le pietre dello stadio è una forma sì d’amore per l’Atalanta, ma è soprattutto resistenza. Tutto si potrà dire del tifo e delle sue esagerazioni violente e ignoranti, tranne che non abbia un concetto di lealtà, seppur troppe volte mal riposto e stolido. A Bergamo, appena festeggiata la promozione, è arrivata questa mazzata del calcio scommesse. Al senso di ingiustizia per dover partire a handicap si è aggiunta l’incapacità di capire perché tutto questo succedesse.

Quando il non parer vero svelato fu, con la confessione di Doni, il popolo bergamasco ha “cristonato” per la fregatura, si è rialzato, ha mandato in esilio il traditore, è andato allo stadio e ha attaccato quello striscione: “Doni con noi hai chiuso”, che detto dai bergamaschi traditi è una cosa più definitiva della forza di gravità. Non sempre ci azzecca e non sempre è lucida, si nutre ancora di troppa violenza e ignoranza, ma molte volte la giustizia etica dei tifosi è più affidabile e veloce di tutti i tribunali.

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