Lettera al direttore della Gazzetta dello Sport Andrea Monti



Egregio Signor Direttore,
prendo lettura dell’articolo da Lei pubblicato in merito agli striscioni contro la Gazzetta dello Sport esposti in curva nord a Bergamo durante la partita Atalanta – Genoa.
Chi Le scrive, premetto, non fa parte della tifoseria che ha esposto gli striscioni in oggetto, ma fa parte della gente di Bergamo, appassionata di calcio e tifosa della squadra della propria città.
In questo caso, signor Direttore, mi trovo a dissentire in gran parte da quanto scrive.
Partendo dal presupposto che la Sua presa di posizione è doverosa, per la carica che ricopre e per il dibattito, che è l’anima della Democrazia, trovo la stessa formulata più con la rabbia che con la ragione.
Altro presupposto dal quale non si può prescindere, è che spesso (anzi, sempre) i detti popolari c’azzeccano, e che quindi, facendo riferimento ad uno di quelli, “per fare una croce ci vogliono due legni”, la colpa di questa diatriba sta da entrambe le parti.
Così come non si può prescindere dal fatto che la protesta è stata espressa nel modo più civile e corretto possibile. Ricordo che gli striscioni, per entrare allo stadio, devono passare attraverso il benestare della Questura. Autorità che, in questo caso, li ha letti in maniera differente dalla sua.
Lei afferma che il termine “infamia” è un termine “mafioso”, ma il vocabolario recita, alla voce “infamia” riferita alle parole (scritti) “Parole, che per la loro bassezza morale suscitano sdegno”.
Termine forte? Probabilmente sì.
Ma il termine forte, sbagliato e decisamente fuori luogo è quello che ha utilizzato Lei, definendo questa parola mafiosa e, di riflesso, definendo mafiosi coloro che l’hanno esposta. E soprattutto coloro che non l’hanno contestato.
Il sottoscritto, senza il bisogno che sia una curva a suggerirglielo, ha ritenuto la presa di posizione nei confronti del giornale che dirige legittima. Il sottoscritto, si sente dare, di riflesso, del mafioso, soltanto perché crede che il suo giornale abbia commesso degli errori.
Allora, analizziamoli assieme.
Viene pubblicata un’intervista ad Alessandro Ruggeri, non entriamo nel merito di come lo si sia stuzzicato, il quale esprime le sue idee ed i suoi concetti. Viene concesso uno spazio enorme, a titoloni e pagine intere.
Il giorno dopo, il presidente Percassi ribatte con una conferenza stampa, esprimendo le sue idee e ragioni, a mio avviso in maniera molto civile e pacata. Vengono riservate SOLO tre colonne nella stessa pagina in cui campeggia un titolo cubitale del tipo: CALCIOSCOMMESSE.
Pura coincidenza? Casualità?
Signor Direttore, non mi (ci) faccia più stupidi di quanto già siamo.
In quanto alla difesa del Suo giornalista, doverosa per un Direttore, mi sembra un po’ raccapezzata ed in fondo anche abbastanza buffa.
Colui che Lei dipinge come una vittima di un attacco vile, vittima di pubblica intimidazione, guarda caso è proprio colui che per primo ha intimidito con minacce di querele tutti coloro che si sono permessi di dissentire, forte delle spalle coperte da mamma Gazzetta.
Forse sì, in questo caso, sarebbe da utilizzare il termine con il quale Lei ha definito la parola infamia. Ma io non lo faccio. Mi limito ad utilizzare il vecchio detto popolare di cui sopra. E lo ripeto: “per fare una croce ci vogliono due legni.”
Per quanto riguarda la “curva”, non entro nel merito. Non ne faccio parte e giudico per quanto vedo. Ho visto azioni deplorevoli. Così come ho visto azioni encomiabili (chiedere all’Aquila Rugby, vedere ospedali in Africa, chiedere alla gente alluvionata di Genova. E tante altre ancora). 
Che il saldo sia comunque ancora negativo? Può essere. Anzi lo è, perché la violenza non si cancella con un atto di bontà. 
Quantomeno, per farlo, il saldo, si devono esprimere entrambi i fattori. E quasi mai è stato fatto. A questo proposito, chieda conto a colui che, per dovere, ha difeso nel suo articolo.
In ultimo, dissento dall’attacco alla società Atalanta, con cui chiude l’articolo.
Io non posso, non voglio difendere l’Atalanta, che non ha bisogno di me per farlo. Ma, oggettivamente, tutto questo bailamme è una questione fra la Gazzetta dello Sport che Lei dirige ed un gruppo di persone che non ha apprezzato un Vostro certo modo di agire (e ben venga, sintomo di un paese vivo, sappiamo benissimo entrambi cosa significa quando non ci può essere contraddittorio fra stampa e popolo).
Ora, perché la società Atalanta dovrebbe prendere posizione, qualsiasi essa sia, nei confronti di una questione della quale è oggetto, ma non soggetto?
Tanto si dice che le società non dovrebbero aver a che fare con le curve, e Lei invece ne stimola il contrario?
Questa è una questione fra Gazzetta e tifosi (lettori). Quindi una questione fra Lei ed i Suoi clienti. Lasciamo fuori la società, chiunque essa sia. E lasciamo fuori i palazzi del calcio, che già se ne stanno fuori da questioni di cui invece dovrebbero celermente occuparsi.
Ma in questo non entro in merito. E’ un lavoro da giornalista. E io non lo sono, mentre Lei, nella Sua squadra ne ha tanti, e fra questi, alcuni anche estremamente bravi.
Mi auguro, e non ho dubbi, che prenda questa mia per quello che è. Una semplice e civile riflessione in merito ad un Suo scritto.
Rodrigo Dìaz [tratto da atalantini.com]

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