La stabilità


Si sente spesso parlare di stabilità. Si soprassiede persino ai crimini in nome della stabilità. Ma di quale stabilità andiamo dicendo? Di quella dei potenti che mantengono stabili le loro prebende da 500.000 annue. La stabilità dei tirapiedi che si assicurano stabili entrate grazie al fatto che la loro lingua è arrivata al culo giusto. Ma appena uno, che con ironia un po' malvagia viene chiamato "poco abbiente", chiede un'entrata mensile stabile, uno stabile in cui dormire, ecco che per lui il dizionario cambia; gli si dice che non ha capito la vita, che il mondo è liquido, chè il suo lavoro è mobile, che deve adattarsi a un futuro incerto, che deve essere precario ed elastico. Persino le sospensioni della sua utilitaria sono in preda al Parkinson, mentre le auto da crociera gli sfilano accanto nelle loro stabili traiettorie. 
Ecco cosa s'intende dunque per stabilità: enormi lastroni di sopruso stesi sulla rinollente feccia dei poveracci per creare i lastricati del privilegio.
Per ottenere questo i potenti si assicurano la complicità di quella classe lavoratrice che in fin dei conti ha un tetto sulla testa e, anche se i suoi riferimenti traballano un po', tiene botta. 
Aveva ragione George Carlin a dire che la classe ricca è quella che non serve a niente, che la classe media serve a mantenere col proprio lavoro la classe ricca e che la classe povera serve a far cagare addosso la classe media.
Lavorare con la speranza di accedere al privilegio e col terrore di scivolare nella miseria. Ecco la trappola perfetta.


(Natalino Balasso)

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