Dalle intercettazioni emerge che a Quarto la camorra puntava tutto sul Pd, cioè su quelli che ora gridano “onestà” ai 5Stelle. Poi però il Pd presentò liste irregolari e fu escluso dalle elezioni, così i boss virarono in extremis su M5S. Ma la cosa non allarma affatto Renzi: anziché domandarsi come mai il suo partito fosse il preferito dai clan, chiedendo magari lumi ai suoi preclari rappresentanti in loco, sostiene che “io la pulizia l’ho fatta”. Funziona così: per evitare infiltrazioni camorristiche, non si scelgono candidati onesti, ma si presentano liste farlocche per farsele bocciare, così la camorra è fregata. Tiè. L’importante comunque è aver dimostrato che “i 5Stelle non hanno il monopolio della morale” ed “è finito il tempo in cui dicevano che non sono tutti uguali: sono un partito come gli altri”.
Evviva. Il premier-segretario – dall’alto dei 50 comuni Pd sciolti per mafia e delle centinaia di indagati e condannati Pd fra Camera, Senato, Parlamento europeo, governo, comuni, regioni e città metropolitane (l’ultimo è il sindaco di Como) – non può dire, restando serio, che il Pd è pulito. Dunque si pregia di comunicare alla Nazione che sono sporchi anche gli altri. Malcostume mezzo gaudio, è tutto un magnamagna. Sono soddisfazioni. Resta da capire perché, se sono tutti uguali, il M5S espelle un sindaco che non denuncia un reato e un consigliere sospettato di un reato, mentre il Pd lascia i suoi al loro posto. Però apprendiamo da Renzi & C. che la sindaca di Quarto “doveva denunciare chi la minacciava o ricattava”. Giusto: massima trasparenza, o a casa.
Infatti Vincenzo De Luca, il 19 ottobre, vede arrivare la Squadra Mobile a perquisire gli uffici della Regione Campania. Nel decreto di perquisizione c’è scritto che è indagato per induzione con alcuni collaboratori che, a nome suo, hanno promesso una promozione al marito della giudice che ha neutralizzato la sua sospensione. De Luca che fa? Denuncia i suoi uomini? Li caccia? Informa Renzi? No, tiene tutto per sé per tre settimane, e quando il suo segretario indagato se ne va perché si dice stanco, accredita la sua bugia ringraziandolo per la preziosa opera svolta. E quando esce la notizia che il segretario è indagato, De Luca racconta un’altra balla: “In quest’indagine sono parte lesa”. Invece è indagato. E Renzi & C. che fanno, lo cacciano? No, lo difendono: il “garantismo più totale” vale solo per loro. Tutti uguali? Mica tanto. Fosse dei 5Stelle, De Luca sarebbe stato espulso su due piedi, anzi non sarebbe stato neppure candidato: era già condannato in tribunale e sospeso.
A proposito dell’obbligo di denunciare reati: nel giugno 2012 il consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio, ex magistrato, travolto dalle polemiche per le sue interferenze nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia, scrive al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una lettera di dimissioni in cui, fra l’altro, gli ricorda di avergli parlato (“Lei sa…”) di “episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere… preso dal vivo timore di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi. Non le nascondo di aver… desiderato di tornare a fare indagini”. Perché Napolitano non invitò D’Ambrosio a parlarne subito ai pm di Palermo o non si precipitò lui stesso da loro a denunciare gli indicibili accordi fra uomini dello Stato e mafiosi evocati dal suo braccio destro? Ora non vorremmo che Renzi&C. chiedessero la testa di Napolitano per quell’omessa denuncia, lievemente più grave di quella della sindaca di Quarto. Anche perché c’è un solo modo per dimettersi da senatore a vita, e non osiamo neppure pensarlo.
Ps. In questa partita, FI e Ncd non toccano palla. Nessuno, infatti, ha mai potuto sospettarli di non denunciare reati: anche perché, di solito, sono loro a commetterli.
Marco Travaglio, Il Fatto quotidiano, 13 gennaio 2016
Commenti
Posta un commento