Par linguicio


Sul finire della guerra fredda, si raccontava la barzelletta del giornalista americano e di quello sovietico che si incontrano a un summit Usa-Urss. L’americano si vanta col collega: “Vedi, noi siamo una grande democrazia perché io posso scrivere che Reagan è uno stronzo e non mi succede niente”. E il sovietico: “Ma anche la nostra è una grande democrazia: infatti posso scrivere che Reagan è uno stronzo e non mi succede niente”. Nella Russia di Putin è ancora così. E anche nell’Italia di Renzi, dove tutti possono dare del bugiardo al leader dell’opposizione Di Maio, ma non al capo del governo. E si può chiedere conto dei loro indagati ai 5Stelle che ne hanno uno (la Muraro), ma non al Pd (che ne ha centinaia), a Ncd, Ala e a FI che hanno più inquisiti che elettori). Motivo: tv e giornaloni non ne parlano o vi accennano fugacemente, e soprattutto non fanno domande. Invece da due mesi il caso Roma domina i titoli dei tg e le prime pagine dei giornaloni come un fatto epocale, storico, mondiale. Davvero è più importante della crescita zero, del flop del Jobs Act, del crollo dei contratti stabili, degli affaristi che occupano la nuova merchant bank di Palazzo Chigi? Immaginate se Di Maio si fosse portato appresso come un trofeo Lucia Aleotti, presidente del colosso farmaceutico Menarini, imputata per riciclaggio e frode fiscale, tant’è che l’altroieri è stata condannata a 10 anni e mezzo per aver sottratto 860 milioni allo Stato. Ieri tutti avrebbero titolato: “Condannati gli amici di Di Maio”. Invece gli Aleotti sono intimi di Renzi, che ha spupazzato l’imputata Lucia in visita alla Merkel e per miracolo non la salvò dal processo col famigerato codicillo salva-frodatori, smascherato da Libero e dal Fatto nel dicembre 2013 e ritirato frettolosamente senza che nessuno spiegasse chi l’aveva infilato, e perché, e per chi.Infatti ieri nessun giornale, a parte il nostro, ha scritto una riga sui rapporti fra Renzi e gli Aleotti. Si dirà: la Muraro ha mentito ai giornali, Fatto compreso. E Di Maio e la Raggi hanno taciuto. Già. Ma se quelle bugie e omissioni sono note è perché i giornali, Fatto compreso, li hanno tempestati di domande sulle indagini. Niente domande scomode, niente risposte false o reticenti.Domenica, alla festa del Fatto, Peter Gomez ha intervistato Di Maio su tutto, anche sulla Muraro, ricevendo la risposta omissiva che sta costando caro al giovane leader pentastellato. Giovedì Johnny Riotta ha intervistato (si fa per dire) Renzi alla festa dell’Unità di Genova dandogli del tu, come si usa tra compari.La notizia del giorno erano le dimissioni dell’ad di Mps Viola, su pressione del governo, cioè di JP Morgan. Domanda: “Come sono messe le banche oggi?”. Risposta: “Le abbiamo liberate dalla politica”. Immaginate (ipotetica del terzo tipo, trattandosi del Cortigiano Johnny) se la domanda fosse stata: “Scusi,ha ordinato lei a Viola di andarsene? E, se sì, a che titolo? Ma non aveva promesso ‘fuori la politica alle banche’?”. Se Renzi avesse negato, Viola avrebbe potuto smentirlo dimostrando non solo che il premier s’impiccia nelle banche, ma è pure un bugiardo. Niente paura: quella domanda all’intrepido Johnny proprio non è venuta in mente. Era troppo impegnato a incalzare Matteo con quesiti ben più urticanti: “Perché non si fanno le Olimpiadi a Roma?”, “Qual è la risposta al populismo?”, “Sul referendum possiamo dire ai nostri amici di votare sul merito perché non è detto che se vince il No si dimette Renzi?”, “Ho letto un libro dell’ex rettore della Normale secondo cui con la vittoria del Sì l’Italia diventa fascista” (balla totale: Settis non l’ha mai detto). Mancava solo il ko finale: “Uè Matteo, come va la vita?”.Un altro Pinocchio da guinness è Giorgio Napolitano: per tutto il 2012 giurò in decine di interviste e dichiarazioni che mai e poi mai si sarebbe fatto rieleggere. “Sarebbe ridicolo”, spiegò a Mario Calabresi su La Stampa. Ieri Calabresi, passato a Repubblica, l’ha intervistato dopo aver denunciato l’“omertà” di quei mafiosi dei 5Stelle che han tradito i “valori civici di questo giornale”. Quale migliore occasione per ricordargli che anche lui tradì quei valori, mentendo sul no assoluto alla sua rielezione: “Ma non s’era detto che era ridicola?”. Invece niente: “Cosa la spinge a impegnarsi ancora nel dibattito sul referendum?”, “Si è mai pentito di aver accettato il secondo mandato nonostante la stanchezza e l’auspicio di sua moglie a ritagliarvi uno spazio privato?”, “Come si è arrivati allo scontro sulle riforme?”. E tanti ossequi alla sua signora.Il Corriere, dopo le solite tre pagine di pestaggio ai 5Stelle, intervista un altro pozzo di sincerità: il sindaco Pd di Milano Beppe Sala, che dichiarò “sul mio onore” (per quello che vale) di non possedere una villa e due società che invece possiede, perciò è indagato per falso con richiesta di archiviazione perché l’autocertificazione farlocca sarebbe infrazione amministrativa. Sentite come lo inchioda la temeraria intervistatrice: “Sindaco Sala, ripartiamo dal Patto per Milano: obiettivo?”, “Insiste anche sul tema di Milano internazionale: che scopo hanno le sue missioni all’estero?”, “I punti di forza della città?”, “Non è stato morbido con gli operatori della moda: perché?”, “Roma rinuncia all’Olimpiade: arriva Milano?”, “Ma in futuro?”, “Invece il salone del Libro si farà? Uno sgambetto a Torino?”, “E i rapporti con la Raggi?”, “I grillini parlano di complotto sostenendo fra l’altro che la nomina contestata da Cantone è identica a quella che ha fatto lei col suo capo di gabinetto. Risposta?”, “Quindi è tutto in regola?”. Ma certo, si figuri. E a casa, tutti bene?
Marco Travaglio, Il fatto quotidiano, 11 settembre 2016

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