Noi ci siamo, voi ci siete?

Travaglio. Appello ai lettori e agli artisti: noi ci siamo, voi ci siete?

Caro Antonio, sembra ieri che discutevamo se un giornale libero e indipendente con la Costituzione come “linea politica” avrebbe trovato abbastanza lettori per vivere. Invece era già sette anni e mezzo fa, ed eccoci qua con il nostro Fatto Quotidiano che ha appena compiuto gli anni senza patire la crisi del settimo, in ottima salute anzi addirittura in crescita. Chi ci avrebbe scommesso un centesimo, quando lanciammo la nostra sfida, nell’estate del 2009? Pochi, pochissimi, quasi nessuno, a parte un pugno di giornalisti temerari e 18 mila lettori che si abbonarono al Fatto ancor prima che uscisse, sulla fiducia.

È quindi la nostra storia che mi induce a rispondere un Sì convinto alla tua proposta per dare più forza, visibilità e allegria alla battaglia per il No al referendum costituzionale, anche se non so ancora se il nostro giornale troverà le energie e le risorse.

Le cose, nella campagna referendaria, stanno andando esattamente come scrivi tu. Nei primi mesi si sono schierati i cittadini più informati e dunque più liberi, quelli che rappresentano il voto di opinione e decidono da soli il proprio futuro. Ora che le urne si avvicinano, dal corpaccione degli indecisi si staccano i sudditi di testa o di tasca, i sudditi per scelta o per necessità, che liberi non possono o non vogliono essere. Infatti si lasciano imbonire dalle promesse di Matteo Do Nascimento e comprare dalle sue elemosine. Si arrendono al Sì più per conformismo o clientelismo che per altro, anche se sotto sotto se ne vergognano. Infatti si nascondono dietro le fumisterie paracule: “La riforma non mi piace, ma è meglio che niente…”, “Renzi non mi va, ma non vedo alternative…”, “temo il salto nel buio…”, “se passa il No vince Grillo e tornano Berlusconi e D’Alema…”. Tutte scemenze: se vince il No evitiamo il peggio e ci teniamo il meglio, punto. Purtroppo la propaganda del Sì a reti Rai (ed edicole) unificate sta facendo breccia presso i meno avvezzi all’autoinformazione, a dispetto di chi continua a dire che la tv non sposta voti e anzi danneggia chi la occupa. Intanto Mediaset, per la prima volta, va nella direzione opposta a quella dichiarata dal padrone: fa campagna per il Sì o parla d’altro. Come sempre, il Caimano racconta balle agli elettori e impartisce tutt’altri ordini alle sue aziende, governative per necessità.

È vero: ora che il gioco si fa duro e il governo mette le armi sul tavolo, la partita si fa sempre più difficile. Tanto più che le bugie sono molto più accattivanti delle verità e occorre molto più tempo per smentire che per mentire. Il che, nei pochi spazi rimasti per il confronto fra Sì e No, è un bell’handicap. Ma ci dobbiamo provare, impegnandoci ventre a terra fino alla sera del 3 dicembre. Qualunque sarà il risultato finale, sapremo di aver fatto tutto il possibile. Il Fatto continuerà a informare sul No (domani tornano le pagine speciali sulla controriforma tradotta in italiano). Ma dobbiamo allargare la platea a chi non legge, con una piccola o media o grande Woodstock del No. Che dovrà portare speranza, ottimismo, proposte e allegria, lontano dalla cupezza del dibattito iniziatico. Non so se ce la faremo. La riuscita dell’iniziativa non dipende soltanto da noi, ma soprattutto dalla comunità dei lettori e dagli artisti che avranno voglia di schierarsi e impegnarsi con noi in una non-stop che trasformi il No in un messaggio creativo e positivo. Di nomi me ne vengono in mente a centinaia, ricordando i girotondi e poi gli appelli sulla Costituzione minacciata prima da B., poi da Napolitano, infine dai due compari del Nazareno. Ma questa volta è tutto molto meno scontato: nello spettacolo, non tutti possono permettersi di andare contro il capo del governo nella sua battaglia della vita. Chi tiene famiglia e carriera deve tenersi buone Rai e Mediaset con i rispettivi mandanti. E pure il ministero che elargisce i fondi e i Comuni che gestiscono i teatri. E noi, diversamente da un governo che compra voti con soldi pubblici, non abbiamo nulla da offrire in cambio.

Quindi faremo così. Tu, io e tutti noi del Fatto lanciamo questa semplice domanda-appello ai lettori, agli amici e alle centinaia di comitati del No sparsi per l’Italia, cioè a tutti quelli che potrebbero riempire il nostro palco e la nostra piazza: se organizziamo una Woodstock del No alla vigilia del referendum costituzionale, voi ci siete? Le risposte che arriveranno le pubblicheremo sul giornale e sul sito. E vedremo se saranno sufficienti. Io ci spero, incoraggiato dall’esperienza faticosa ma appassionante del tour teatrale Perché No con Giorgia Salari (a proposito di artisti coraggiosi), sabotato da molti politici, ma gratificato ogni sera dal tutto esaurito. L’altra sera, a Rimini, s’è avvicinato un vecchio partigiano, nome di battaglia “Tabàc” (che in dialetto vuol dire “ragazzino”): “Avanti così fino alla vittoria del No”. Gli ho risposto: “Speriamo”. E lui: “Non è una speranza, è una certezza”. Mi ha ricordato la frase di un altro grande vecchio, Indro Montanelli, che mi torna in mente spesso, specialmente in momenti come questi: “Allo specchio, cioè al bilancio della propria vita, prima o poi ci si arriva. E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il motto degli hidalgos spagnoli: ‘La sconfitta è il blasone delle anime nobili’”. Noi ci siamo, e voi?

Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 1 Ottobre 2016

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