“L’Italia gela Bruxelles: ‘Veto sul bilancio Ue’. Renzi: traditi i patti” (la Repubblica). “Il veto italiano a Bruxelles” (Corriere della Sera). “Renzi: basta soldi a questa Europa. Veto italiano al bilancio Ue” (La Stampa). “Bilancio Ue, il veto di Renzi” (Il Messaggero). “L’Italia stoppa il bilancio della Ue” (l’Unità). Ieri, in omaggio al pluralismo dell’informazione, tutti i giornaloni più un giornaletto sono usciti con lo stesso titolo di apertura, a edicole unificate. Lo stesso che campeggiava in cima a tutti i telegiornali della sera prima. Peccato che fosse una bufala. Intanto il veto è stato soltanto minacciato. In secondo luogo, come ha spiegato ieri Stefano Feltri, il bilancio dell’Ue viene discusso e approvato ogni sette anni da Commissione europea, Consiglio e Parlamento, dopodiché ogni anno si vara qualche piccolo ritocco, su cui nessuno Stato membro ha potere di veto perché le variazioni annuali, diversamente dal bilancio settennale, vengono approvate a maggioranza qualificata e non all’unanimità. Due mesi fa però il Parlamento europeo ha chiesto modifiche sostanziali, che richiedono l’unanimità. Già un anno fa Renzi aveva minacciato il veto sui 3 miliardi all’anno destinati dall’Europa alla Turchia in cambio del blocco degli sbarchi dei migranti. Poi la Merkel gli spiegò alcune cose e il nostro batté prontamente in ritirata. Ora il Parlamento Ue chiede 2,5 miliardi per controllare i flussi migratori: e Renzi, anziché esultare per una misura che aiuterebbe anche e soprattutto l’Italia, annuncia il veto. Non sul bilancio Ue, come strombazzano tg e giornali, che è cosa fatta dal 2014 e si chiuderà nel 2020, ma su quel piccolo ritocchino che andrebbe a vantaggio anche dell’Italia. Risultato: tutto rinviato a dicembre, dopo il referendum, quando nessuno, nemmeno Renzi, si ricorderà più nulla. In Europa ormai si ride di questo burattino che continua a fare il gioco delle tre carte, con richieste di sforamento del deficit per terremotati, migranti e scuole, salvo poi buttare i soldi in mance elettorali. Però han deciso di sopportarlo e supportarlo almeno fino al 4 dicembre, visto che la controriforma preme più alla casta Ue che a lui, figuriamoci a noi cittadini trattati come sudditi di una colonia.Sempre ieri, La Stampa usciva con uno scoop sensazionale (“Palazzo Chigi denuncia i tweet pro 5Stelle”). Luca Lotti, con grave sprezzo del pericolo e del ridicolo, si sarebbe recato alla Procura di Firenze per denunciare il complotto della Spectre grillina che farebbe nientemeno che “cyber propaganda pro M5S”.Il tutto a colpi di “account indistinguibili, algoritmi, connessioni, meta dati e false notizie”. A noi risulta che Palazzo Chigi non ha denunciato nessuno, mentre Lotti ha querelato una tizia che l’avrebbe offeso sul web. Ma il cronista-segugio de La Stampa si appassiona, fremente di sdegno: “C’è una centrale che gestisce materialmente tutto questo?”. Chiaro che sì: l’account dello scandalo appartiene a tal Beatrice Di Maio, non parente di Luigi, ma astutamente usata dalla Spectre per confondere le tracce pentastellate: “Ha qualcosa a che fare con la Casaleggio?”. Ovvio. La putribonda figura, dipinta come “top mediator” e “star del web” per i suoi ben “13.994 follower” (un decimo di Stefano Bettarini) avrebbe addirittura osato “postare una foto della Boschi” accostandola financo allo scandalo Total-Tempa Rossa (per cui la ministra fu interrogata dai pm di Potenza, avendo autorizzato il noto emendamento pro petrolieri). La malintenzionata insinua persino – con “una foto di Charlot che scappa all’impazzata” (sic) – che in quell’emendamento c’entrasse pure Renzi, che è solo il capo del governo pro-petrolieri. “Se dicessero cose così giornali o tg, pagherebbero risarcimenti per diffamazione”, s’indigna La Stampa, invece la Di Maio niente: non l’hanno ancora arrestata. Nemmeno dopo che si è schierata – horribile dictu – per il No al referendum. Roba da matti. E dire che i suoi tweet sono “virali”, cioè vengono rilanciati da altri loschi personaggi, uno dei quali – tal Bvito5s, forse cugino del Napalm51 di Crozza – vuole nientepopodimenochè “rottamare Renzi”. E anche costui circola ancora a piede libero, ma ci rendiamo conto? Di qui la denuncia di Lotti, amorevolmente spalleggiata dalla Stampa, nota custode della verità contro le “false notizie”.Con un filo d’invidia per lo scoop mancato, prendiamo atto che La Stampa ha smascherato un fenomeno tanto inedito quanto inquietante: le frottole anonime che girano sul web, alcune diffamatorie, altre di propaganda politica. In attesa che questi scopritori dell’acqua calda, questi sfondatori di porte aperte, questi scalatori di discese inventino anche la ruota e l’ombrello, resta da chiarire: 1) chi indaga sulle carrettate di insulti e di panzane che, per dire, arrivano sul nostro sito e sui nostri social a sostegno del Pd e del Sì, e sulla centrale che le organizza; 2) chi indaga sulle bufale de La Stampa, tipo il “veto italiano al bilancio Ue” e su quelle del premier rilanciate dai giornaloni come verità soprannaturali. Per fortuna siamo in Italia e contar balle non è considerato né un reato (com’è giusto che sia: la sanzione dovrebbero darla i lettori) né un’infrazione disciplinare (e allora non si capisce che ci stia a fare l’Ordine dei giornalisti). Però si potrebbe partire dal caso Di Maio (Beatrice) per una bella campagna di repressione penale, con retate e rastrellamenti, contro tutti i ballisti d’Italia. Quelli che si nascondono dietro un nickname e quelli che mettono la firma sui giornaloni e la faccia sui telegiornaloni. Poi però non lamentiamoci dei tribunali intasati e delle carceri sovraffollate.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2016
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