Tina Anselmi era proprio donna fortunata. Sia per la sua vita: la guerra partigiana, la fede autentica in Dio più che nei preti (caratteristica piuttosto rara, nella Dc), il culto della Costituzione, la battaglia contro la P2, la stima di tutti i cittadini perbene di qualsiasi orientamento per la sua onestà. Sia per la sua morte, proprio nel giorno dei Santi, preceduta da una lunghissima malattia che le ha risparmiato il miserando spettacolo di questa politica. Ora ci permettiamo di suggerire ai famigliari di sigillare scrupolosamente la bara, perché in giro è pieno di tombaroli a caccia di salme illustri da riesumare, depredare e arruolare nel fronte del Sì. Sono gli stessi che accusavano noi del Fatto di aver iscritto post mortem Dario Fo al fronte del No, per via di uno sberleffo che non hanno capito (“Vota Fo”), dimentichi del fatto che il premio Nobel si era battuto fino all’ultimo respiro contro la schiforma. Gli stessi che ora tornano a prendersela col nostro Riccardo Mannelli, accusandolo di sciacallaggio per una vignetta che in realtà mette alla berlina il tentativo di Renzi di rinviare il referendum con la scusa sciacallesca del terremoto.L’altroieri, per carità di patria, abbiamo sorvolato sul tweet della Boschi in morte dell’Anselmi, che utilizzava una sua frase non proprio memorabile (a differenza di molte altre che lo erano davvero, sulla Costituzione e sui poteri occulti che da 70 anni la minacciano) per intrupparla subliminalmente nel fronte del Sì. Questa: “Capii allora che per cambiare il mondo bisognava esserci”, seguita dalle parole “Tina Anselmi c’è stata e il mondo l’ha cambiato”. Come se “cambiare” fosse un valore in sé, non importa se in meglio o in peggio. Anche le leggi razziali furono un cambiamento: prima gli ebrei erano cittadini come gli altri, poi furono perseguitati. Anche Licio Gelli voleva cambiare la Costituzione, ma in peggio, e per fortuna trovò nell’Anselmi un baluardo insuperabile. Ora, se fossimo la Boschi, immagineremmo con quale entusiasmo la Tina, se fosse stata ancora cosciente, avrebbe accolto l’idea di riscrivere un terzo della Costituzione con Denis Verdini, condannato e poi prescritto per corruzione e rinviato a giudizio altre cinque volte per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta e loggia segreta (la P4, erede naturale della P2 e della P3). E come avrebbe giudicato quel sant’uomo di Pier Luigi Boschi che, per salvare Banca Etruria dai disastri combinati da lui stesso e dagli altri amministratori, si rivolse a Flavio Carboni, pregiudicato per la bancarotta fraudolenta dell’Ambrosiano e ben noto alla presidente della Commissione P2.Ma per fortuna non siamo la Boschi, dunque lasciamo riposare in pace la Tina, senza metterle in bocca nulla più di quel che disse nella sua lunga e bella vita. Purtroppo, per strano che possa sembrare, la ministra ricostituente ha dei seguaci, tutti del suo livello o addirittura una tacca più giù. Come tal Antonella Gramigna, nientemeno che coordinatrice del comitato toscano Pd “Donne per il Sì”, che ha voluto così commemorare l’Anselmi su Facebook: “Ciao Tina, sei stata un grande esempio per tutte noi. Continueremo anche per te, oggi più che mai #BastaunSì per la parità di genere”. Il tutto corredato da una foto di Nilde Iotti. Subissata di fischi e pernacchi sul web, la povera Gramigna s’è giustificata per la “svista” della foto con uno “stato febbrile” che immaginiamo piuttosto grave. Niente scuse, invece, per quel “BastaunSì” appiccicato a una donna appena scomparsa, che per giunta aveva fatto della difesa della Costituzione una ragione di vita. Più che una svista, un tragicomico cortocircuito tra due vilipendi di cadavere innescato proprio dalla Boschi. Che, com’è noto, subito dopo avere spensieratamente equiparato tutti gli elettori del No a CasaPound, compresi i partigiani dell’Anpi, tentò di rimediare imbarcando – lei e altri turborenziani – sul carro del Sì i cadaveri eccellenti della Iotti, di Togliatti, di Berlinguer e di Ingrao. I quali però erano monocameralisti: cioè favorevoli ad abolire il Senato (che invece la schiforma Boschi mantiene in vita). Ed erano pure proporzionalisti: cioè difensori arcigni del sistema elettorale proporzionale (lo stesso fissato dalla Consulta con la sentenza che cancella il Porcellum e subito smantellato dall’Italicum imposto da Renzi con la fiducia chiesta dalla Boschi). Il che non ha impedito a questi impuniti di riprovarci con Dossetti, La Pira, Calamandrei e Montanelli.Ora al referendum, salvo rinvii, manca esattamente un mese. E si teme che la disperazione giochi altri brutti scherzi al premier e alla sua ex favorita. Se si votasse in tutto il resto del mondo, Italia esclusa, il Sì stravincerebbe grazie agli illustri endorsement di Obama e del suo ambasciatore, di Juncker e Moscovici, di Marchionne e Jp Morgan, della Merkel e del suo ministro dell’Interno De Maizière, tutti bravissimi a fare i costituenti con la Carta degli altri. Sventuratamente costoro non votano in Italia dove, stando almeno ai sondaggi, la maggioranza non sembra gradire la schiforma: forse perché è la nostra (viceversa, non avremmo nulla in contrario a stravolgere quella degli Usa, della Germania e dell’Ue, casomai quelli fossero così idioti da pensarci). Dunque prepariamoci, di qui al 4 dicembre, a nuove appropriazioni indebite. I cimiteri monumentali sono pieni di cadaveri eccellenti da trafugare nottetempo e da arruolare alla Causa. Ci appelliamo dunque agli eredi dei morti celebri: sigillate le bare dei cari estinti, sorvegliate le tombe di famiglia, presidiate i camposanti con vigilantes, possibilmente armati. Ma anche ai vivi famosi di una certa età: lasciatelo scritto nel testamento. “Non Boschi, ma opere di bene”.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2016
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