Accadono cose davvero strane, di questi tempi. E non per le accozzaglie del Sì e del No, che in perfetta coerenza con lo schema referendario portano momentaneamente sulle stesse posizioni persone che insieme non berrebbero nemmeno un caffè. No, perché ora ci tocca dare ragione persino a Giorgio Napolitano, che com’è noto consideriamo uno dei politici più nefasti della storia repubblicana. L’altroieri, a parte la dichiarazione di voto per il Sì (senza la quale Renzi non lo manderebbe in tv), l’ex sovrano ha detto diverse verità.
1) “Non voglio avventurarmi sul discorso delle conseguenze del referendum, perché non si vota né per questo governo né contro, ma per ciò che è scritto in questa riforma. Per giudicare Renzi c’è il voto politico”. Perfetto.
2) “Non si vota per le motivazioni che il premier dà liberamente su questa riforma” e cioè la lotta alla Casta con “il taglio del numero dei parlamentari”. Sacrosanto.
3) “I rischi di crisi finanziaria ci sono sempre. Non vorremmo vedere lo spread che cresce, dobbiamo stare molto attenti comunque vada il referendum”. Ineccepibile.
E nessuno lo sa meglio di lui, che agevolò la caduta di B. e la nascita di tre governi mai scelti dai cittadini per scongiurare crisi finanziarie che – ha poi scoperto – prescindono totalmente da chi governa. Infatti lo spread non calò per merito di Monti, ma delle robuste iniezioni di denaro fresco da parte della Bce con il quantitative easing. Cioè con una cura di estrogeni, finita la quale siamo più o meno al punto di partenza.
Figurarsi cosa può cambiare di sostanziale col papocchio del nuovo Senato (che farà risparmiare 30-40 milioni l’anno su 800 miliardi e passa di spesa pubblica) o con la giusta ma ininfluente abolizione del Cnel (che farà risparmiare 3 milioni l’anno). Il povero monarca uscente è furibondo con Renzi che continua a menarla con la lotta alla Casta, senza un minimo di riguardo per lui che ne è la quintessenza, essendo entrato in Parlamento 63 anni fa, nel lontano 1953, per non uscirne mai più. E non si rende conto che soltanto mentendo spudoratamente con la leggenda della lotta alla Casta il premier potrà convincere gli italiani meno informati a digerire la Costituzione della Casta, imposta al Parlamento, al governo Letta e poi al governo Renzi proprio da Napolitano e dai suoi amici a Bruxelles e a Washington. Altrimenti come si può pensare che le persone sane di mente il 4 dicembre votino Sì a una “riforma” che le espropria del più fondamentale dei diritti fondamentali?
Cioè il diritto di eleggere i propri rappresentanti in Senato, per farli scegliere dalla peggior Casta d’Italia, quella dei consiglieri regionali perlopiù inquisiti, con l’immunità in omaggio? Per far vincere la Casta, bisogna fingere di combatterla. Mica si può dire la verità. Se no poi i cittadini capiscono e la sconfiggono davvero, una volta per tutte, con un bel No. Però al deposto Re Giorgio, in quella malinconica e crepuscolare comparsata a Porta a Porta, va riconosciuto almeno l’onore delle armi. Sono almeno dieci anni che persegue, anche contro i suoi poteri costituzionali, un disegno politico ben preciso: salvare dalla furia popolare un sistema decrepito, marcio e iniquo – quello dei vecchi partiti – con l’arma delle larghe intese tra Pd e Forza Italia, per tagliare le ali estreme, cioè quelli che non obbediscono a lui e ai suoi referenti oltre confine. Anche se prendono sempre più voti. E non s’è mai accorto che ogni ammucchiata gettava nuova benzina sul fuoco del malcontento, della protesta, della rabbia anti-sistema, gonfiando le vele a quei movimenti popolari che lui vorrebbe combattere. La sua terapia, cioè, anziché curare la presunta malattia, la fa galoppare vieppiù. Ora siamo alla resa dei conti finale, e lui lo sa. Se la gente scopre il movente della “riforma”, cioè consegnare agli aspiranti padroni dell’Italia un sistema che accentra tutti i poteri nelle mani del premier-burattino di turno, così da poterlo telecomandare a distanza senza più il fastidio dei contropoteri di controllo e di garanzia, per loro e per lui è finita. Fallimento totale. Una vittoria del No rischia addirittura di restituirci la nostra Costituzione democratica sospesa da anni. Una rivoluzione. Una tremenda minaccia per lorsignori.Quindi, se vuole salvare la Casta per un altro po’, l’ex Altezza Reale deve rassegnarsi ad altri 12 giorni di propaganda del Sì contro la Casta. Come del resto fanno altri insigni mandarini imbullonati al Parlamento dalla notte dei tempi e non fanno un plissè quando il loro premier li spaccia per intrepidi combattenti anti-Casta: Francesco Colucci, entrato in Parlamento nel 1972; Fabrizio Cicchitto, che vi esordì nel 1976 (in contemporanea con la P2); Maurizio Sacconi, che vi debuttò nel 1979; Pier Ferdinando Casini, deputato ininterrottamente da soli 33 anni; Anna Finocchiaro, parlamentare senza soluzione di continuità appena dal 1987; Pino Pisicchio, che è lì da 22 anni (cambiando un partito ogni due), come Ferdinando Adornato e Beppe Lumia; e via casteggiando. Certo, è seccante sentirsi chiamati in causa ogni giorno dal premier come la sèntina di tutti i mali d’Italia. Ma devono resistere ancora due settimane. Poi, se vince il Sì, ricomincia la cuccagna. Per premio, potranno ricandidarsi chi per l’ottava, chi per la nona, chi per la decima legislatura. Finché morte non li separi.
Nel frattempo, dovranno inghiottire dosi industriali di tranquillanti, digestivi e antiemetici per spiegare agli eventuali elettori che la Casta sono Zagrebelsky e Grillo (mai entrati in Parlamento in vita loro, se non come visitatori). Sempreché, si capisce, non gli scappi da ridere.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2016
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