Funichi?

Ieri abbiamo cercato di intervistare Antonio Funiciello, direttore del comitato BastaunSì nonché – riferiscono le cronache, senza offesa – “braccio destro del sottosegretario Lotti”. Purtroppo, invano. L’impavido braccio destro se l’è data a gambe, entrando in clandestinità. Peccato: perché, oltre a porgli qualche semplice domanda, volevamo significargli i sensi della nostra più totale ammirazione. Anzitutto per il suo esposto all’Agcom contro il nostro giornale, così riassunto in un memorabile tweet: “Il Fatto chiede spesso il rispetto delle regole. In questa campagna è il Fatto a non rispettarle. Agiscono da soggetto politico” (il verbo plurale “agiscono” non si riferisce presumibilmente al sostantivo plurale “regole”, ma al singolare “il Fatto”: si tratta proprio di un anacoluto, che però ai letterati del suo calibro è consentito come licenza poetica). Ma anche e soprattutto per la sua biografia, piuttosto avventurosa per un giovin politico di 40 anni. Roba che, al confronto, Giuseppe Garibaldi era Carlo Conti. Dopo gli esordi come portaborse per 10 anni di Morando, e sono già belle soddisfazioni, il Nostro proseguì al seguito di Zanda e poi nei paraggi di Veltroni (che non si accorse di nulla). In seguito marcò stretto Ichino e Tonini, che ne fecero il direttore di una cosa imprecisata denominata “Libertà Eguale”. A quel punto, per non farsi mancare proprio niente, transitò nei dintorni di Epifani, che ebbe la pensata di promuoverlo “responsabile Cultura” del Pd. L’incarico, con gran sollievo del Pd e soprattutto della Cultura, durò pochi mesi: finché qualcuno se ne accorse e provvide di conseguenza.Sedicente “liberale”, blairiano e clintoniano fuori tempo massimo all’insaputa di Tony e di Bill, il Funiciello è un patito degli States, soprattutto del Texas, almeno quanto Nando Mericoni lo era del Kansas City. Ora, siccome comanda Renzi, il nostro è convinto che il nuovo Blair e il nuovo Clinton non sia più né Veltroni né Epifani, ma Matteo. Sfortuna vuole che sul web circoli ancora un appello del 2012 firmato da Morando, Tonini, Nannicini e anche da Funiciello per fare numero, che magnificava la leggendaria Agenda Monti, oggi ferocemente deplorata da Renzi e dai suoi cari come sentina di tutti i mali. Fautore – in tre suoi saggi noti ai meno – della “cooptazione meritocratica”, l’ex veltroniano, ex epifaniano, ex montiano e ora renziano ma sempre funicielliano Funiciello parte lancia in resta in una nuova pugna “liberale”: disinfestare le tv da quel pericoloso focolaio d’infezione del Fatto, nelle persone di Padellaro, di Scanzi (anzi “Scalzi”) e del sottoscritto.“Stiamo monitorando tutte le trasmissioni tv”, cinguetta al plurale maiestatico il noto frequentatore di se stesso. E denuncia all’Agcom “la persistente manifesta violazione della normativa e regolazione di cui in oggetto”. Si sarà per caso accorto della scandalosa preponderanza del governo e del Sì nei tg e in quel che resta dei talk Rai dopo le epurazioni della Berlinguer, di Giannini e di Porro? Nossignori: lo squilibrio è tutto “delle posizioni contrarie al quesito referendario”. Com’è noto, ogni sera i teleschermi sono monopolizzati dai professori Pace, Zagrebelsky, Grandi, Carlassare, mentre non v’è traccia di un Renzi, di una Boschi, di un Napolitano. E “a ciò si aggiunge un ulteriore elemento di gravità”, specie “con riferimento alle emittenti del gruppo Cairo” (quelle chiamate La7), dove si osa far parlare addirittura “alcuni giornalisti che si sono espressi chiaramente per il No”. Capito? Non confusamente: “Chiaramente”. Essi, per dire la vergogna, “manifestano la loro opinione contraria alla riforma”. E non una volta sì e una no: nossignori, anziché schierarsi ora contro, ora a favore, ora mezzo e mezzo, essi esprimono “espressamente” lo stesso pensiero “in ogni loro partecipazione televisiva”. Il che “rappresenta un gravissimo vulnus alla libera informazione delle opinioni da parte dei cittadini” perché la loro partecipazione “non viene percepita dal telespettatore come ‘di parte’”, tipo quella di un Renzi o di un suo ministro che rischiano di andare a casa, o di un Funiciello che rischia di doversi cercare un lavoro, salvo difendere sempre e comunque la schiforma. Trattandosi di giornalisti liberi che non hanno nulla da perdere o da guadagnare nel sostenere le proprie idee, la gente capisce che dicono quel che pensano e li sta ad ascoltare.Cosa che evidentemente non accade a quelli che parlano a favore del Sì, che Funiciello non cita mai, come se non fossero la stragrande maggioranza: forse perché chi sta col Sì non è “schierato”, ma “obiettivo”, “imparziale”, terzo”; o forse perché la gente non gli dà retta. A questo punto, stremato dalla fatica e sgomento per la democrazia in pericolo, il Funiciello chiede all’Agcom di “adottare in via d’urgenza tutte le misure necessarie per imporre l’immediato riequilibrio”, anche perché il Fatto – come Funiciello segnala in un apposito allegato – ha distribuito un inserto con la parola No. Purtroppo le “misure” caldeggiate “senza indugio” non vengono esplicitate. E noi, probabili destinatari, restiamo qui col fiato sospeso. Potremmo, se lui è d’accordo, parlare una volta per il Sì, una per il No e una per il Nì: magari nella stessa trasmissione, o in tre programmi successivi. Oppure potremmo dire peste e corna della “riforma” e poi, sorpresa!, invitare a votare Sì. O invece elogiarne i contenuti e poi invitare, cucù, a votare No. Ma siamo anche disponibili a misure autoneutralizzanti più drastiche, come l’elettrochoc prima della messa in onda, per presentarci in studio con l’aria vuota e assente di chi non ha una sola idea in testa: solo, non vorremmo poi essere scambiati per un Funiciello. Questo no.

Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 4 novembre 2016

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