L’ultima genialata di chi non ha ancora capito perché vincono la Brexit e Trump, ma vuol fare lo stesso bella figura, è la “post verità” (in inglese “post truth”). Gli Oxford Dictionaries parlano di “circostanze in cui fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica rispetto ad appelli emotivi e convinzioni personali”. E notano che, coniata dieci anni fa dal blogger David Roberts su un sito ambientalista, l’espressione ha avuto un boom negli ultimi mesi, col referendum britannico e le elezioni americane, con una frequenza del 2mila per cento superiore rispetto al 2015. Come se i primi e unici politici bugiardi fossero The Donald e gli antieuropeisti britannici. Chi lo pensa dovrebbe contare le balle raccontate da Hillary Clinton sui vari scandali suoi e di famiglia, e le “post verità” diffuse a piene mani dagli europeisti anti-Brexit, a suon di profezie catastrofiche che non si sono avverate. Basta fare un colpo di telefono a noi italiani, immersi nella post verità da almeno 22 anni grazie a Mr B., che ci campò indisturbato dal 1994 al 2011, prima di venire – con comodo – sgamato. Il guaio è che nel frattempo aveva costruito un sistema perfetto, basato sulla menzogna scientifica e sul servilismo sistematico delle classi dirigenti e dell’informazione, che gli è sopravvissuto tale e quale al servizio di altri noti bugiardi: da Napolitano a Renzi. Ora l’Italia, culla e patria della post verità, si sta spaccando in due fra il Sì e il No a una “riforma” costituzionale che, se i cittadini conoscessero la verità, compatterebbe l’intero elettorato in difesa della Costituzione vigente. Nemmeno gli Usa di Trump e il Regno Unito della Brexit avrebbero la minima esitazione a respingere con maggioranze oceaniche una “riforma” che espropria i cittadini del più fondamentale dei diritti fondamentali: quello di eleggere i propri rappresentanti in una delle due Camere. Invece qui la partita è aperta e, comunque finirà il referendum, circa la metà dei votanti correranno alle urne per dire Sì all’esproprio, anzi all’auto-esproprio.La post verità crea assuefazione, perché alla lunga la gente fa il callo alle bugie e non le nota più. L’altra sera la Boschi ha dichiarato che, se vince il No e il governo se ne va, “finiscono gli 80 euro”. Dev’essersi convinta, la tapina, che il bonus in busta paga per alcune categorie di lavoratori l’abbia messo Renzi di tasca sua. Qualcuno dovrebbe spiegarle che sono soldi pubblici, dirottati dal suo governo da altre poste alla vigilia delle elezioni regionali del 2014 e ampiamente recuperato con aumenti di tasse, tariffe e balzelli vari.Ma soprattutto che il ritiro di quella misura strutturale è una sua fantasia: nessuno può sapere che ne farà il prossimo governo.
Intanto Renzi, travestito da Trump, spiega che il Sì è l’anti-Casta mentre il No è la Casta. Annuncio piuttosto temerario, visto che la Casta è chi sta al governo, non chi si oppone, e dalla parte del Sì si ammucchiano tutte le carte d’Italia: europee, confindustriali, finanziarie, bancarie, editoriali, giornalistiche. E visto che Mister Anticasta i nuovi senatori vuole farli scegliere non più dai cittadini (come col proporzionale e col maggioritario del Mattarellum), ma dalla peggior Casta del mondo: quella dei consiglieri regionali, che vanta il record planetario di inquisiti. Si rassegni, lui al massimo è Hillary, non Donald.
Vogliamo parlare della sua drôle de guerre all’Europa? Per giorni e giorni, tg e giornaloni ci hanno raccontato che il premier aveva tolto la bandiera dell’Ue dal suo ufficio (brrr: terrore a Bruxelles), poi aveva messo “il veto al bilancio Ue” (brrr: panico a Bruxelles). Naturalmente non c’era alcun veto né soprattutto alcun bilancio europeo, già approvato per 7 anni nel 2014 da tutti gli stati membri. C’era una “riserva” a una posticina di 2,5 miliardi per i migranti (a tutto vantaggio dell’Italia), che in una notte s’è trasformata in astensione, così è passato tutto. Fine della guerra, risate a Bruxelles.Indovinate chi scrisse, il 29 dicembre 2012, che “per vincere le elezioni e governare l’Italia, il Pd deve interloquire con l’Agenda Monti, inserendo nel programma di governo le sue scelte essenziali e ineludibili su Europa, fisco e lavoro”. Tali Ceccanti, Funiciello, Gentiloni, Ichino, Mancina, Morando, Ranieri, Tonini e Vassallo: oggi tutti al seguito di Renzi, che sputtana Monti come l’uomo dell’austerità, origine e causa di tutti i mali. E indovinate chi ringraziò con queste parole la Bce che, nell’agosto 2011, aveva inviato al governo B. la famosa letterina con gli ordini da eseguire sull’austerità a spese dei pensionati e dei lavoratori: “Mi ritrovo nella lettera della Bce e non condivido l’atteggiamento prevalente del Pd che invoca l’Europa quando conviene e ne prende le distanze se propone riforme scomode” e chiedeva l’allungamento dell’età pensionabile, poi attuato dalla Fornero. Ma naturalmente Renzi, che ora invoca l’Europa quando conviene e prende le distanze se gli fa le pulci alla finanziaria piena di falsi in bilancio.
Ora si gioca tutto sugli italiani all’estero, infatti gli manda due o tre schede a testa, ad abundantiam, insieme a milioni di letterine piene di post verità. E così spera che i Sì mancanti in Italia arrivino da oltre confine, cioè da quegli italiani che più di tutti gli altri dovrebbero dire No: oggi a Palazzo Madama sono rappresentati da 6 senatori eletti in appositi collegi esteri, che sparirebbero se vincesse il Sì. Infatti, se passasse la “riforma”, il nuovo Senato sarebbe formato da 100 nominati: 5 dal capo dello Stato e 95 dai Consigli regionali, nemmeno uno dagli italiani all’estero. Se Trump ha inventato la post verità, Renzi ha inventato le balle via posta.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 20 novembre 2016
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