Le giunte di Milano e Roma rischiano di uscire decapitate da due inchieste giudiziarie, entrambe riguardanti fatti passati ed estranei all’attività comunale.
A Milano il Pd Giuseppe Sala è indagato per falso, a proposito della presunta gara truccata nel 2012 per l’appalto più grande di Expo.
A Roma un funzionario comunale, Raffaele Marra, stretto collaboratore della sindaca Virginia Raggi (M5S), è in carcere per corruzione a proposito di due assegni circolari che il costruttore Scarpellini gli girò nel 2013 per pagare una casa, in cambio di favori imprecisati (l’ordinanza parla di una generica “messa a disposizione”).
La Raggi non è accusata di nulla: si è fidata di un dirigente mai indagato (caso più unico che raro, al Campidoglio) né sospettato di essere un ladro.
Sala è accusato di aver fatto carte false per favorire l’impresa Mantovani, retrodatando un documento e non annullando la gara per la Piastra di Expo vinta in modo anomalo, con un ribasso del 42%, cioè per una cifra che “non era idonea neppure a coprire i costi”: appena 165 milioni, poi compensati con altri incarichi senza gara e prezzi abnormi per lavori aggiuntivi.
Tutto questo lo scrivevano già nel 2014 i pm nella richiesta d’archiviazione: “Numerose anomalie e irregolarità amministrative” nella “scelta del contraente” e “nella fase esecutiva”. La richiesta fu respinta dal gip, che ordinò nuove indagini, ora condotte dalla Procura generale che le ha avocate alla Procura.
Quindi, come ripete solitario da due anni Gianni Barbacetto, le accuse erano stranote e avrebbero dovuto indurre il Pd a candidare qualcun altro.
Se finora Sala l’aveva scampata era perché il procuratore aggiunto che coordinava le indagini, Alfredo Robledo, fu esautorato dal suo capo Bruti Liberati, poi censurato dal Consiglio giudiziario.
Il trasferimento di Robledo e gli elogi di Renzi a Bruti per la “sensibilità istituzionale” parevano aver sepolto per sempre il peccato originale di Expo. Sala divenne sindaco tra gli applausi di Renzi&C. per la kermesse “mafia e tangenti free” (ah ah).
Invece il Pg l’ha dissotterrato dalla sabbia. E il sindaco, finalmente indagato, s’è “autosospeso” in attesa di non meglio precisate “notizie” dal Pg, che non gliele può dare sino a fine indagini (in estate), ma da ieri è ancor più sotto pressione.
Un epilogo che si sarebbe evitato se Renzi, Pisapia e gli altri sponsor di Sala avessero scelto un candidato più trasparente e meno chiacchierato.
Anche la Raggi era stata messa in guardia più volte su Marra: dai suoi oppositori interni, da molti giornali, dallo stesso Beppe Grillo.
Ma lo aveva sempre testardamente difeso. Col senno di poi, ha sbagliato, come ha ammesso lei stessa ieri: “Culpa in eligendo”, ma non “in vigilando”, perché non risulta che Marra abbia commesso reati sotto questa giunta (altrimenti la sindaca dovrebbe dimettersi). Poteva la Raggi immaginare che, tre anni fa, Marra si era fatto pagare una casa da Scarpellini?
Alzi la mano chi lo sapeva, o lo pensava.
Le ferocissime critiche al dirigente nascevano da comprensibilissimi motivi politici: simpatie di destra, collaborazione con le giunte Alemanno e Polverini, continuità con il passato, eccessiva padronanza dei meandri del potere.
Ma, se ogni nuovo sindaco dovesse tagliare i ponti con le centinaia di dirigenti e i funzionari comunali solo perché lavoravano anche prima, visto che licenziarli è vietato, la soluzione sarebbe una sola: bombardare col napalm i palazzi civici a ogni cambio della guardia, e senza preavviso agl’inquilini.
Noi, quando Marra balzò ai disonori delle cronache come l’Uomo Nero della Raggi, gli chiedemmo un incontro. Si presentò con una valigia di faldoni per documentare il suo curriculum, le sue lauree, la correttezza delle sue condotte e le denunce che aveva presentato contro il malaffare capitolino.
Lo avvertimmo che avremmo verificato ogni carta.
E così facemmo, senza trovare nulla che smentisse la sua versione.
Nemmeno quando l’Espresso rivelò che aveva comprato casa da Scarpellini (non quella oggetto del suo arresto: l’altra, pagata con soldi suoi, forse con lo sconto).
L’aspetto più opaco della sua carriera ce lo confessò lui stesso: si era fatto raccomandare (peraltro invano) da monsignor D’Ercole e poi da Alemanno per passare dalla Gdf ai servizi segreti.
Ovviamente non potevamo intercettarlo né introdurci nei suoi conti in banca.
L’ha fatto la Procura (e meno male: fosse stata così attiva anche in passato, Roma non sarebbe ridotta così).
E ha scoperto i due assegni che fanno di lui un potenziale corrotto. Ora, la Raggi non sarà la prima né l’ultima vittima dei “professionisti delle carte a posto” (Falcone li chiamava così) travestiti da cavalieri senza macchia e senza paura: è capitato persino ad alcuni fra i migliori pm d’Italia, traditi dai loro più fedeli investigatori dopo anni di indagini ad alto rischio.
Piuttosto, non solo la Raggi e i 5Stelle, ma tutti i politici onesti degli altri partiti dovrebbero trarre dagli ultimi fatti di Milano e Roma una lezione terribile, ma ineludibile: le classi dirigenti sono ormai talmente inquinate dal malaffare endemico che non bastano neppure le precauzioni più stringenti: tipo quelle adottate dalla sindaca romana, che pretende dai nominandi il certificato penale e quello di nessuna indagine a carico. Come insegnano i casi Sala, Marra e Muraro, il tentativo di riciclare pezzi del vecchio establishment al servizio della “nuova politica” è troppo rischioso.
L’unica soluzione è allevare nuove classi dirigenti per un radicale spoils system che faccia tabula rasa del passato.
È una sfida ciclopica, che richiederà anni.
Ma ogni giorno che passerà in frasi fatte e inutili ripicche sarà un giorno sprecato.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2016
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