Prima di prenotarmi una visita psichiatrica, ho visto L’ora legale di Ficarra e Picone e mi sono un po’ rincuorato. Ma l’ultima parola spetta ai lettori: aiutatemi voi. Alla vigilia di Natale, Marco Lillo – che mai ha dato segni di squilibrio – mi anticipa una serie di notizie-bomba, a grappolo.
1) La Procura di Napoli indaga sul più grande appalto d’Europa, roba da 2,7 miliardi, bandito dalla Consip (al 100% del Tesoro, cioè dal governo) e truccato per favorire in tre lotti l’imprenditore Alfredo Romeo, finanziatore di molti politici tra cui Matteo Renzi.
2) L’inchiesta, come ha scritto a novembre La Verità, mai smentita, preoccupa molto Tiziano Renzi, informato da chissà chi su intercettazioni a proposito di un suo incontro a Napoli con Romeo. Papà Renzi ne avrebbe parlato con pochi amici in un bosco di Rignano, dopo avere spento il cellulare.
3) L’inchiesta, in teoria top secret, è un segreto di Pulcinella: i vertici Consip hanno saputo da chissà chi che gli uffici sono pieni di cimici e li hanno fatti bonificare per toglierle, rovinando l’indagine.
4) Gli inquirenti hanno interrogato l’ad di Consip, il renziano Luigi Marroni, che ha fatto i nomi delle presunte talpe: il comandante dell’Arma Tullio Del Sette, il capo dei carabinieri toscani Emanuele Saltalamacchia, il ministro renziano allo Sport Luca Lotti, il presidente renziano di Publiacqua (la municipalizzata idrica di Firenze e dintorni) Filippo Vannoni.
5) Vannoni – ma questo lo scopriremo qualche giorno dopo – ha rivelato ai pm che fu Lotti a parlargli dell’inchiesta Consip e che anche Renzi sapeva tutto. Con gli occhi sgranati, mi faccio ripetere due o tre volte la storia, che si annuncia come il più grave scandalo di Stato degli ultimi anni, e decido di dedicarle grande spazio in prima pagina per diversi giorni. Domani, mi dico ingenuamente, tutti i giornali e i tg riprenderanno la notizia e qualche testa salterà. Tutti i principali protagonisti della storia, infatti, sono legati a filo doppio a Renzi: il padre Tiziano, il finanziatore Romeo, il fido Lotti, il gen. Del Sette nominato dal governo Renzi, Marroni nominato a Consip dal governo Renzi, Vannoni nominato a Publiacqua dal sindaco di Firenze Renzi. Delle due l’una: o sono impazziti tutti quanti e han cominciato a calunniarsi fra loro, dunque gli accusatori verranno querelati per calunnia dagli accusati e rimossi dai loro incarichi pubblici; oppure, messi alle strette dai pm con l’obbligo di dire la verità, l’hanno detta, dunque gli accusati di dimetteranno. Nulla di tutto questo. Telegiornaloni e giornaloni miniaturizzano lo scoop del Fatto.
Ma spacciano l’indagine per un assedio delle Procure ai poveri renziani sconfitti al referendum. Poi la Procura di Roma li leva d’impaccio: interroga subito Del Sette e Lotti, a gentile richiesta: così la notizia non è più l’oggetto dell’indagine, ma il generalone e il ministrone che, intrepidi e sereni (mancherebbe), “chiariscono tutto”. A fine anno domandiamo al premier Paolo Gentiloni come possa lasciare al vertice di Consip un potenziale calunniatore o, in alternativa, tenersi nel governo e alla guida dell’Arma due potenziali delinquenti. Lui biascica che ha fiducia nella giustizia e anche in tutti e tre (anche se si accusano a vicenda). E morta lì. L’altro giorno il nostro Davide Vecchi pubblica il verbale, non segretato, di Lotti. Il quale racconta una storia davvero avvincente: il 21 dicembre, alle 6.30 del mattino, il neoministro è alla stazione di Firenze in partenza per Roma e chi ti incontra “casualmente”? Vannoni, in partenza per Napoli. I due sono amiconi, ma non si vedono “da sei mesi”. E Vannoni mica dice a Lotti dove sta andando, cioè a Napoli per essere sentito sulla fuga di notizie: ci mancherebbe, è un tipo riservato, anche se sulla sua convocazione come teste non c’è alcun segreto investigativo. Nel pomeriggio Lotti incontra Vannoni in un corridoio di Palazzo Chigi. Guarda un po’, alle volte, le combinazioni: non ti vedi per sei mesi e poi ti vedi due volte in un giorno. Vannoni è lì per dirgli non solo ciò che non gli ha detto al mattino. Ma pure per spifferargli, tutto contrito, il contenuto del suo interrogatorio, che a differenza del resto è coperto da segreto, ed è stato pure segretato dai pm a fine verbale.
“Imbarazzato e concitato – racconta Lotti ai pm – Vannoni mi ha informato di aver riferito a Woodcock di aver ricevuto da me informazioni riguardo all’esistenza di indagini su Consip; alle mie rimostranze circa la falsità di quanto aveva affermato, lui ha ammesso di aver mentito e si è scusato in modo imbarazzato, ottenendo una mia reazione stizzita, tanto da avergli io detto ‘non ti do una testata per rispetto del luogo nel quale siamo’”. Dopo aver minacciato un testimone che ha appena violato il segreto investigativo (sempre per rispetto del luogo in cui siamo), il ministro dovrebbe precipitarsi in Procura a denunciare l’amico per calunnia e intimare al sindaco Dario Nardella di rimuovere l’ennesimo calunniatore dal vertice di Publiacqua. Invece sta fermo e zitto due giorni, finché sul Fatto esce la notizia che è indagato. Allora scrive su Facebook che la notizia “non esiste” e chiede udienza ai pm perché la notizia esiste. Telegiornaloni e giornaloni non dedicano una riga al verbale di Lotti e nemmeno alla notizia (nota anche all’Ansa) del summit tra le procure di Napoli e Roma per dividersi le indagini su un ministro, sull’entourage di Renzi, sui vertici dell’Arma e di Consip per l’appalto più grande d’Europa.
Delle due l’una: o siamo matti noi del Fatto, oppure sono matti (o qualcos’altro) tutti gli altri. Nel secondo caso, per la perizia psichiatrica non basteranno tutti gli ospedali d’Italia. Nel primo caso, è ufficiale: Ruby è la nipote di Mubarak.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 14 gennaio 2017
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