La riperdita


A Virginia Raggi non ne va bene una. Il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso di un certo avvocato Venerando Monello (ribattezzato nella sentenza, con strepitoso refuso, “Vagabondo”), iscritto al Pd e per giunta sostenuto da Monica Cirinnà, che chiedeva di dichiarare ineleggibile la sindaca di Roma e nullo l’accordo pre-elettorale da lei firmato col M5S.
Pensate se i giudici l’avessero accolto: all’indomani del sondaggio del Sole 24 Ore (parlando con pardon) che la dà penultima nella classifica dei sindaci più amati d’Italia, oggi la Raggi tornerebbe a casa con l’aureola del martirio politico-giudiziario e riconsegnerebbe Roma ai partiti che l’hanno così mirabilmente governata fino a un anno fa, affinché la rifacciano più bella e superba che pria. E chi da sette mesi le dà lezioni di buona amministrazione tornerebbe a fare i conti col buco da 15 miliardi, le municipalizzate allo sfascio, i dirigenti inquisiti, le buche, la Curia, il Coni, i palazzinari e altre pantegane, le scuole al freddo e i fannulloni al caldo. Invece, purtroppo per lei, il Tribunale ha dichiarato eleggibile la Raggi e valido il contratto. Così chi ha perso le elezioni deve rassegnarsi ad attendere quattro anni per l’eventuale rivincita, magari nelle urne e non nei tribunali; e chi le ha vinte deve governare, magari con l’appoggio di un Movimento che finora ha sostenuto la sindaca come la corda sostiene l’impiccato.
Spiace per giornaloni, giornaletti e retrostanti editori che facevano un tifo da stadio, tambureggiando da settimane in vista dell’epocale sentenza, come alla vigilia dello sbarco in Normandia, nell’attesa messianica dei liberatori venuti a salvarci dall’orda populista. Memorabile il titolo dell’Unità di sabato: “‘Illegittimo’ lo Statuto del M5S: attesa per la sentenza”. Da affissione quelli del Foglio (cui siamo vicini nel momento del dolore): “La strada che porta allo scioglimento del 5Stelle. Il bug che può far saltare l’impalcatura giuridica del Movimento. Regolamenti, sospensioni, codici illegittimi. Inchiesta sul prossimo big bang grillino” (“inchiesta” di tal Annalisa Chirico, mica pizza e fichi). O questo, vergato personalmente da Giuliano Ferrara: “Chiamate i carabinieri. In un paese serio sarebbe già in campo un’iniziativa legale per lo scioglimento di un movimento reazionario come quello di Grillo”. Non solo: “Sciogliere il M5S. Il caso Raggi svela la truffa legale del blog solo al comando, che rende il Movimento incompatibile con la Costituzione. Il ricorso potrebbe cambiare la storia del M5S e far luce sulla sua illegalità costituzionale”. Parola del rag. Claudio Cerasa fu Giuliano.
Il quale dettava la linea ai giudici, con la sentenza già bell’e pronta: “Violazione degli art. 67 e 97 della Costituzione, dell’art. 3 del Consiglio comunale di Roma, dell’art. 1 della legge n. 17/1982”. Roba da ergastolo. Anzi da fucilazione alla schiena, a sentire l’emerito ex giudice costituzionale Sabino Cassese fu Giorgio: “Non è solo un problema costituzionale, è un problema di democrazia, e l’unica parola che mi viene in mente per sintetizzare la questione, che riguarda il M5S, è una: qui si parla di eversione, non solo di Costituzione”. Era anche intervenuto, ad adiuvandum, un noto giureconsulto di scuola arcoriana, al secolo Silvio B.: “Ho letto sul Foglio un articolo che sosteneva che il M5S è incostituzionale. L’ho trovato convincente: nessun partito al mondo funziona in questo modo”. Bene, bravo, bis.
Il tutto perché la Raggi, candidandosi a sindaco di Roma, aveva deciso di firmare (diversamente da altri candidati, tipo Chiara Appendino) un contratto con i vertici del M5S in cui s’impegnava a rispettare alcune regole: “Coordinarsi con i responsabili Comunicazione” per le esternazioni, consultarsi con lo “staff” (Grillo, Casaleggio & C.) sulle scelte di fondo, rispettare i principi del movimento, non cambiare partito, non ledere l’immagine dei 5Stelle, pena una multa di 150 mila euro.
Noi già fatichiamo a rispettare le 300 mila leggi vigenti in Italia, ergo non accetteremmo mai staff, non-statuti, garanti, fondatori, direttorii, minidirettorii, Casaleggi e Casalini. Per evitarli, abbiamo scelto una strada piuttosto originale: non iscriverci mai a partiti, movimenti, circoli, associazioni, bocciofile, Club di Topolino e Giovani Marmotte. Ma non vediamo perché uno dovrebbe aderire a un’associazione privata – quali sono i nostri partiti e movimenti che attendono da 68 anni una normazione in base all’art. 49 della Costituzione – per poi contestarne le regole: se uno non ama Grillo e Casaleggio, sentimento legittimo e pure comprensibile, non si iscrive al movimento fondato da Grillo e Casaleggio; se invece vi s’iscrive, l’ultima cosa che può fare è lamentarsi perché quei due sono sempre fra i piedi. Eppure, da quando è nato il M5S, è tutto uno stracciar di vesti perché al movimento fondato da Grillo e Casaleggio l’impronta la danno Grillo e Casaleggio. Sdegnati decine di transfughi, sconvolti gli altri partiti e la stampa al seguito.
Ma benedetta gente, ve l’ha forse prescritto il medico, o il confessore, di entrare in un club con leader e regole che non vi piacciono? Ora il Tribunale, scomodato da Venerando Vagabondo tra rulli di tamburi e clangori di grancasse, sentenzia la più banale delle ovvietà: un’associazione privata si dà le regole che vuole, purché non violi la legge. E nessuna legge vieta agl’iscritti di impegnarsi a consultarsi con i vertici, a essere coerenti e rispettosi del buon nome del club (le multe, poi, non le paga nessuno: basta uscire dal club per svincolarsi dall’impegno).
Ora, anziché far perder tempo ai giudici, i partiti potrebbero domandarsi perché un club così bizzarro e così sputtanato dai loro media prende più voti di loro.

Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2017

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