Le 8 piaghe di Renzi



Non per tornare sul luogo del relitto e infierire su quel corpicino martoriato, ma fateci caso: c’è forse una cosa, una soltanto, toccata o sfiorata da Renzi nei suoi tre anni scarsi di governo che non sia regolarmente finita in mille pezzi? Intendiamoci: non tutte le disgrazie d’Italia sono solo colpa sua.
Né vogliamo cedere ai pregiudizi irrazionali e calunniosi sui suoi presunti superpoteri jettatorii solo perché nel 2013 annuncia accanto a Bersani “vi presento il prossimo presidente del Consiglio”; nel 2016 annuncia accanto a Giachetti “vi presento il prossimo sindaco di Roma”; partecipa al lancio della Ferrari in Borsa (“una straordinaria occasione per gli investitori”) e subito il titolo viene sospeso per eccesso di ribasso prima di perdere il 20% in sei mesi; fa gli auguri agli azzurri per i Mondiali 2014 e vince la Germania; ci riprova agli Europei 2016 e vince il Portogallo; alle Olimpiadi di Rio tempesta di sms la schermitrice Rossella Fiamingo che perde a sorpresa la finale; dice “forza Vincenzo” al ciclista Nibali che si schianta alla prima curva con due fratture; aggiunge “la mia preferita è la Pellegrini, l’ho vista in forma” e la povera nuotatrice arriva quarta. Ci mancherebbe, per così poco. Però, come diceva Agatha Christie, “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. E qui gli indizi sono almeno otto.
1) L’Unità. Il glorioso giornale fondato da Antonio Gramsci e più volte affondato, prima dai dalemiani, poi dai bersaniani, torna festosamente in edicola nel giugno 2015 grazie ai 107 milioni stanziati dal governo Renzi. Il nuovo azionista, insieme al Pd, è il costruttore Massimo Pessina che, vedi la combinazione, proprio in quei giorni vince l’appalto della Regione Liguria per il nuovo ospedale di La Spezia, senza concorrenti alla gara. Ma, nonostante la cascata di soldi pubblici, l’Unità stenta a decollare.
Il direttore, scelto da Matteo con fiuto da rabdomante, è Erasmo D’Angelis, già presidente di Publiacqua (la municipalizzata del Comune di Firenze), poi sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, infine capo della Struttura di missione sul dissesto idrogeologico col governo Renzi. Purtroppo i lettori fuggono a rotta di collo, nonostante l’ingaggio di firme prestigiose quali Rondolino, Velardi, Bondi, Cicchitto, Auci, Chicco Testa, Marzullo e lo stesso Renzi, che la domenica risponde alle lettere per qualche mese (poi smette per mancanza di lettere). “Date un’occhiata a www.unita.tv, c’è lo streaming degli eventi. E ci sono preziose chicche tutti i giorni”, raccomandava l’allora premier, purtroppo inascoltato. D’Angelis si dimette per mancanza di lettori e torna a Palazzo Chigi per occuparsi di un altro dissesto, quello idrogeologico. Al suo posto, il vignettista Staino e il vice Andrea Romano, già dalemiano, poi montezemoliano, poi montiano, ora pidino. Risultato: mezzo milione di perdite al mese e licenziamenti collettivi. Ma Renzi non c’entra: colpa dei lettori che non leggono.
2) Montepaschi. Il 22 gennaio 2016, a Porta a Porta, Renzi dà un consiglio da amico ai risparmiatori: “Su Mps si è abbattuta la speculazione ma oggi è un bell’affare, è risanata, è un bel brand su cui investire”. Infatti il titolo crolla del 60% in sei mesi. Renzi annuncia la ricapitalizzazione privata grazie a Jp Morgan, che impone la cacciata dell’ad Viola per far posto a Morelli, già sanzionato da Bankitalia per i suoi traffici col famoso Mussari. Poi nessuno ci mette un euro e il governo Gentiloni fa quel che si doveva fare un anno fa: salvataggio con soldi pubblici, 9 miliardi, che sarebbero stati molti meno intervenendo prima. Ma Renzi non c’entra: colpa della cinta senese.
3) Alitalia. Nel 2015 Renzi presenta le orrende divise del personale Alitalia, appena affidata alle sapienti mani degli arabi di Etihad e del presidente Montezemolo: “Allacciatevi le cinture, perché qui stiamo decollando davvero. Alitalia decolla per nuove destinazioni. E il decollo di Alitalia è il decollo dell’Italia”. Ora Alitalia perde mezzo milione al giorno e sta per annunciare almeno 1500 esuberi. Ma Renzi non c’entra: colpa delle cinture.
4) Almaviva. Nel 2016 Renzi annuncia: “2.998 lavoratori tra Roma, Napoli e Palermo rischiavano il licenziamento. Il viceministro Teresa Bellanova ha impiegato ogni energia per un accordo che sembrava impossibile – tanto che ovviamente alcuni già scrivevano di licenziamenti imminenti – e invece è arrivato: tutti i licenziamenti ritirati, mantenimento di tutti i siti produttivi. Avevo detto che avremmo fatto di tutto per risolvere anche questa crisi e così è stato. Brava Teresa! #dalleparoleaifatti”. Risultato: Almaviva chiude a Roma e licenzia tutti e 1666 i dipendenti. Ma Renzi non c’entra: colpa di Teresa.
5) Riforma Boschi. “La riforma costituzionale gli italiani la attendono da 70 anni”, anzi “da 30”, forse “da 20”. Infatti l’han bocciata. Ma Renzi non c’entra: colpa degli elettori che, a furia di attendere la riforma, se la sono dimenticata.
6) Italicum. “È la migliore legge elettorale del mondo. Vedrete che tra 6 mesi ce la copieranno in tanti”, annuncia Renzi nel 2015. Ora quel capolavoro, mai usato, o lo rottama la Consulta o lo sfascia il Pd. Ma Renzi non c’entra: colpa dei 5Stelle che rischiano di vincere.
7) Jobs Act. “Sale l’occupazione, ciao gufi”. Invece l’occupazione crolla sotto i 50 anni e salgono i voucher, che ora spariranno col referendum o con la riforma della riforma. Ma Renzi non c’entra: colpa dei gufi.
8) Legge Madia. “Approvata la riforma della PA, #lavoltabuona. Un abbraccio agli amici gufi”. Poi la Consulta gliela boccia e ora Gentiloni deve riscriverla, ma solo per la parte gradita agli odiati sindacati: il resto finirà nel cestino. Che fosse Renzi, il gufo?

Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2017

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