Perché dovremmo avere tutti un reddito di base



Oggi il sito del World economic forum (Wef), che inizia domani a Davos, pubblica un intervento di Scott Santens, fondatore dell’Economic security project, consulente dell’Universal income project, fondatore di Basic income action, membro dell’US basic income guarantee network e fondatore di Big patreon creator.
All’articolo, intitolato “Why we should all have a basic income”, viene dato grande rilievo e il Wef tiene a precisare che «è parte del World economic forum annual meeting 2017», a differenza di altri contributi di economisti e scienziati la cui responsabilità viene attribuita al solo autore.
Santens parte dalla possibilità che, da oggi in poi, il primo giorno del mese, vengano depositati un migliaio di dollari sul nostro conto semplicemente perché siamo un cittadino/a. Un reddito indipendente da ogni altra fonte di reddito e che, per il resto della nostra vita, ci garantisce uno stipendio mensile di partenza al di sopra della soglia di povertà. Santens si chiede come la “libertà positiva” di quest’entrata economica influenzerebbe le nostre decisioni presenti e future, se continueremmo o meno a lavorare (e come) e quali rischi prenderemmo.
Il ricercatore spiega che «l’idea si chiama reddito di base incondizionato o universale, o Ubi . È come la sicurezza sociale per tutti, e si sta radicando nelle menti di tutto il mondo e attraverso l’intero spettro politico, per una moltitudine di ragioni convergenti. La crescente disuguaglianza, decenni di salari stagnanti, la trasformazione del posto fisso in compiti sub-orari, la tecnologia che sta avanzando in modo esponenziale, robot e i network neurali profondi sempre più in grado di sostituire potenzialmente la metà del lavoro umano, eventi che hanno cambiato il mondo come Brexit e l’elezione di Donald Trump; tutto questo e altro indica la necessità di dare il via ad una garanzia permanente, almeno un po’ di reddito per tutti».
“Il reddito di cittadinanza” dovrebbe essere sufficiente a garantire i bisogni primari  e dovrebbe sostituire molti degli attuali benefit  temporanei, che vengono dati solo in caso di emergenza e/o di incapacità a svolgere mansioni lavorative. L’Ubi sarebbe «una promessa di pari opportunità, non con lo stesso esito, una nuova linea di partenza per tutti al di sopra della soglia di povertà».
Non si tratta di un’idea nuova e nemmeno di Beppe Grillo, un Ubi parziale è già stato sperimentato nella repubblicana e conservatrice Alaska nel 1982 e una versione del reddito di base è stata testata negli Usa negli anni ’70. A Dauphin, in Canada, il reddito di base è riuscito a eliminare la povertà per 5 anni. I più recenti esperimenti di reddito di base Ubi riguardano  la Namibia , l’India e il Brasile, ma anche la Finlandia, l’Olanda e il Canada stanno conducendo esperimenti di Ubi finanziati dal governo per confrontarli con i programmi per la disoccupazione ed assistenziali esistenti, mentre  Y Combinator e GiveDirectly hanno lanciato e finanziato privatamente esperimenti negli Usa e in Africa orientale.
«So cosa state pensando – scrive Santens – È la stessa cosa che pensa la maggior parte della gente. Dare soldi a tutti per non fare nulla? suona sia incredibilmente costoso sia un ottimo modo per incoraggiare le persone a non fare nulla. Beh, può sembrare contro-intuitivo, ma è vero l’esatto opposto su entrambi i punti. Quel che è incredibilmente costoso è non avere un reddito di base». Il problema è che il lavoro di molti non rende e che i soldi frutto del lavoro non vengono ripartiti equamente.
L’idea di sostituire i programmi esistenti può spaventare, «ma la scelta non è tutto o niente – spiega ancora Santens  – Il consolidamento parziale è possibile» e fa l’esempio delle pensioni degli anziani statunitensi, che potrebbero convertire una percentuale della loro sicurezza sociale in reddito di base, senza guadagnare un centesimo meno di adesso.
Negli Usa ci vorrebbero circa altri 220 miliardi di dollari, ma intanto si spendono 108 miliardi di dollari per fornire cibo ai bisognosi, 72 miliardi per sussidi salariali, 56 miliardi per assistenza ai bambini, 17 miliardi  per l’assistenza temporanea alle famiglie bisognose e 70 miliardi all’anno per la deduzione degli interessi ipotecari, che avvantaggia soprattutto i ricchi.  Per finanziare un reddito di cittadinanza universale negli Usa ci vorrebbero 543 miliardi di dollari, ma questo sostituirebbe altre spese sociali.
Santens  sottolinea che «il vero costo netto dell’Ubi  negli Usa  è quindi più vicino a un  gettito fiscale aggiuntivo di poche centinaia di miliardi di dollari», o anche meno, secondo altre proposte di Ubi.  Esistono molte idee su come colmare questo gap di finanziamento, una delle quali considera i cittadini come azionisti – già oggi praticamente tutta la ricerca di base Usa è finanziata dai contribuenti – oppure riducendo le tasse sul lavoro e concentrandosi di più sul capitale, il consumo, e le esternalità (anche ambientali) invece che su  stipendi e salari. Inoltre, si potrebbe eliminare 540 miliardi di spese fiscali che attualmente vanno in maniera sproporzionata ai  più ricchi, e tagliare parte degli 850 miliardi spesi per la difesa Usa.
Alla fine, il reddito di base universale avrebbe un saldo attivo; anche i più ricchi avrebbero tra le loro entrate quelle garantite dal reddito di base ma pagherebbero più tasse, mentre questo non varrebbe per la fascia di reddito più bassa che riguarda l’80% delle famiglie Usa, che si troverebbero a pagare le stesse tasse o meno.
«Per alcuni, questo può sembrare uno spreco – evidenzia ancora Santens – Perché dare soldi a qualcuno che non ne ha bisogno e poi tassare i loro altri redditi? Pensare in questo modo non è come dire che è uno spreco mettere le cinture di sicurezza in ogni auto anziché soltanto nelle auto di coloro che hanno avuto incidenti che dimostrano così il loro bisogno di cinture di sicurezza? I buoni piloti non vengono mai coinvolti in incidenti, giusto?». Ma è proprio non è perché riconosciamo i rischi e i forti costi sanitari che mettiamo le cinture di sicurezza. Sappiamo anche che gli incidenti non succedono solo ai cattivi guidatori, ma che possono capitare a chiunque, in qualsiasi momento. Per questo la legge prevede le cinture di sicurezza per tutti.
La verità è che i costi delle persone che hanno redditi insufficienti sono molti e pesano fortemente sulla collettività: appesantiscono il sistema sanitario, la giustizia penale, l’istruzione pubblica. Gravano sugli aspiranti imprenditori, sulla produttività e sul potere di acquisto dei consumatori e quindi su intere economie. Il costo complessivo della povertà negli Usa è valutato in 1 trilione di dollari all’anno, quindi, le poche centinaia di miliardi di dollari in più per l’Ubi si ripagherebbero da sole.
Ma se chi prende l’Ubi smettesse di lavorare? Non sarebbe un costo eccessivo per l’intera società? Santens è convinto che chi guadagna già più del reddito di cittadinanza continuerà a farlo e lo userà come reddito supplementare; lo stesso farà chi lavora part-time. Il reddito di base non introdurrebbe un disincentivo al lavoro. Inoltre le persone potrebbero essere incentivate a fare attività gratificanti, visto che il lavoro meccanicistico viene fatto solo per i soldi. Inoltre, i lavori ripetitivi e faticosi verranno sempre più realizzati dai robot. Il futuro verso cui stiamo andando è quello dove ci sarà sempre meno lavoro pesante e ripetitivo, gratificato con i salari.
Il reddito di cittadinanza consente quindi di affrontare per tempo il cambiamento del lavoro “fisico”, che sarà rapidissimo, e di riconoscere socialmente lavori e volontariati attualmente non retribuiti o mal retribuiti.
Molte persone sono infelici per il lavoro che fanno, sempre più persone cercano un lavoro qualsiasi pur di uscire da una disoccupazione umiliante. Questo è il risultato inevitabile del lavorare per vivere e mentre i robot avanzano nelle fabbriche crescono i “lavoratori poveri” e quelli estromessi dal mercato del lavori. È un disastro.
Santens  fa l’esempio di una “Nazione A” senza Ubi,  dove per ogni 100 adulti in età lavorativa ci sono 80 posti di lavoro. La metà della forza lavoro  è occupata ma non trova gratificazione nel lavoro, l’altra metà non ha un lavoro fisso, la metà di  questi  sono disoccupati o non vogliono un impiego fisso ma, come nel gioco della sedia, restano senza un posto di lavoro.
Il reddito di cittadinanza muta sostanzialmente questa realtà: le persone possono rifiutare di fare lavori che non li gratificano, aprendo possibilità lavorative per i disoccupati. Inoltre, crea un migliore potere contrattuale per tutti per negoziare condizioni migliori. Quanti posti di lavoro diventerebbero più attraenti se venissero pagati di più?  Quanto ne beneficerebbe a produttività se aumentasse la percentuale di lavoratori motivati? Quanto prosperità in più si potrebbe creare? Per attrarre  i lavoratori migliori, alcuni datori di lavoro aumenteranno loro i salari. Altri ridurranno l’orario di lavoro. Il risultato è un mercato del lavoro completamente trasformato, con lavoratori più motivati, meglio pagati, più produttivi.  Una società con meno persone escluse e dove i lavoratori avrebbero più possibilità di trasformarsi in imprenditori autonomi.
«In poche parole, un reddito di base migliora il mercato del lavoro rendendolo facoltativo – dice Santens – La trasformazione da un mercato coercitivo a un mercato libero significa che i datori di lavoro devono attrarre i dipendenti con una migliore retribuzione e orari più flessibili. Significa anche una forza lavoro più produttiva che elimina potenzialmente la necessità di leggi sul salario minimo che distorcono il mercato». Le persone potrebbero passare più facilmente da un lavoro all’altro, o dal lavoro alla formazione/riqualificazione.
Ma è già, e sarà ancora di più, l’automazione dei processi a cambiare il volto del lavoro, della società e dei redditi: le macchine stanno facendo lavori che gli uomini non vogliono più fare e stanno sostituendo gli uomini in lavori che vorrebbero ancora fare perché non hanno alternative. Solo il reddito di cittadinanza può impedire di creare una massa di esclusi che non riuscirà mai più a trovare un posto nel gioco della sedia perché tutti i posti sono occupati da robot, specialisti o lavoratori supersfruttati e con paghe da fame. Il reddito di cittadinanza permetterebbe loro di trovare un nuovo lavoro, pagato o non pagato, a tempo pieno o part-time, che sia meglio per loro. L’idea del reddito di base, spiega Santens, sembra funzionare dove è stata sperimentata: in Namibia la criminalità è calata del 42% e i ricoveri in ospedale dell’8,5%. A Dauphin la gente è sempre meno indebitata.
«Gli esseri umani hanno bisogno di sicurezza per prosperare  – conclude Santens – e il reddito di base è una base economica sicura: la nuova base su cui trasformare l’attuale precarietà e costruire un futuro più solido. Questo non vuol dire che sia il proiettile d’argento. È che i nostri problemi non sono impossibili da risolvere. La povertà non è un nemico soprannaturale, non lo sono l’estrema disuguaglianza o la minaccia della perdita di reddito di massa a causa dell’automazione. Sono tutte solo scelte. E, in qualsiasi momento, possiamo scegliere di farne delle nuove. Sulla base delle prove che già abbiamo e che probabilmente continueremo a realizzare, sono fermamente convinto una di quelle scelte dovrebbe essere reddito di base incondizionato, come un nuovo punto di partenza uguale per tutti».


Tratto da greenreport

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