Era il giugno 2013 quando un giornale romagnolo e due quotidiani nazionali, Libero e il Fatto, scoprirono una piccola furbata fiscale della ministra Pd dello Sport del governo Letta, Josefa Idem, che aveva spacciato una palestra per abitazione. Bruno Vespa, a Porta a Porta, la mise a confronto con un compagno di partito ma avversario di corrente, il sindaco renziano di Firenze Dario Nardella. Questi, caldeggiando a gran voce le dimissioni della ministra (che alla fine le rassegnò), le rinfacciò il caso del ministro tedesco della Difesa, Karl-Theodor zu Guttenberg, astro nascente della Cdu, che aveva lasciato il governo Merkel e rinunciato al dottorato di ricerca perché si era scoperto che aveva copiato interi blocchi della sua tesi (stessa sorte toccò, per motivi analoghi, ad Annette Schavan, ministra tedesca dell’Istruzione, al senatore Usa John Walsh e persino al presidente della Repubblica d’Ungheria Pal Schmitt). All’epoca Renzi, avendo perso le primarie contro Bersani, era all’opposizione nel Pd e i suoi scudieri non perdevano occasione per cavalcare gli scandali, sposando regolarmente le mozioni di sfiducia M5S-Sel contro Alfano (caso Shalabayeva), Cancellieri (Ligresti), Idem (palestra), De Girolano (Asl Benevento). E citavano a ogni pie’ sospinto la (bella) abitudine delle “vere democrazie” di mandare a casa politici e ministri che si macchiano di comportamenti scandalosi o inopportuni, senz’aspettare le sentenze di Cassazione e nemmeno gli avvisi di garanzia.
Guttenberg l’avevano sempre sulla punta della lingua, come Pol Pot e Castro i vari Gasparri: “E Von Guttenberg, allora?”. E, intendiamoci, avevano ragione da vendere, anche se poi si è scoperto che lo facevano a scopo strumentale: infatti, appena toccò a loro, cambiarono posizione con agile balzo e presero a sbandierare un “garantismo” talmente peloso da far rivoltare nella tomba Beccaria (fino a salvare un senatore pregiudicato da una legge votata da loro). Ora, non bastando Lotti, arriva la Madia. Ma la notizia resta clandestina, così nessuno deve contraddirsi su quattro anni fa. Non riguardando i 5Stelle, non c’è tg o giornalone che riprenda lo scoop del Fatto. Un trafiletto sul Corriere, quasi tutto dedicato alla difesa d’ufficio del direttore dell’Imt di Lucca, felice e contento di aver dato il dottorato a una dottoranda copiona. E nemmeno una sillaba su Repubblica, Messaggero e Stampa, quelli che la menano un giorno sì e l’altro pure con le fake news (degli altri). Meravigliosa l’Ansa, che riporta il tweet della Madia in replica a una notizia non ancora data.
È la nuova frontiera enigmistica dell’informazione. Le quiz news: indovinate, a chi e su che sta rispondendo la ministra? Figurarsi la canea se fosse in ballo la tesi di Virginia Raggi. “Caos Roma, Raggi ha copiato”. È il titolo che campeggiava sulle prime pagine e nei titoli di tg dell’agosto scorso, quando la sindaca lesse il suo programma con alcune frasi che erano identiche o simili a quelle di documenti dei Verdi e degli Stati generali dell’Innovazione (scritti, si scoprì poi, da esperti nel frattempo entrati nello staff della Raggi, che dunque avevano copiato da se stessi partecipando alla stesura del programma della giunta, non di una tesi di dottorato). Purtroppo, oltre a non giocare a calcetto, la Raggi s’è scelta il partito, gli amici, gli sponsor e i fidanzati sbagliati. La Madia quelli giusti: Napolitano jr., Mattarella jr., Letta jr., Minoli, Veltroni, D’Alema, Bersani e Renzi. Chi potrebbe mai parlarne male? Tre anni fa, quando la spensierata Marianna di cui sfuggivano le opere divenne nientemeno che ministra della Funzione pubblica e Semplificazione, fu un trionfo di incensi e bave. “La botticelliana Madia”, la salutò La Stampa eccitatissima per “l’avanzata delle Amazzoni di Matteo” (l’altra era “la giaguara Boschi”). Il culto dell’Ave Madia proseguì con i peana per la “mamma al governo tra poppate e notti in bianco” dopo la nascita di “Margherita, un frugoletto rosa con tanti capelli scuri” che però “non interferisce troppo con il secondo ‘parto’ che la attende, la riforma della PA” (poi sventrata dalla Consulta) anche se “non è da escludere che la pupetta possa prendere parte a qualche Consiglio dei ministri, in caso di necessità” (Oggi). Già, perché – cazzulleggiava Aldo Cazzullo – “vedere al governo una giovane col pancione, come Marianna Madia rappresenta un segno di apertura al futuro, in un Paese a volte gerontocratico” (Corriere).
Insomma, merleggiava Francesco Merlo, “Mogherini, Boschi, Madia, Guidi, Lanzetta e Pinotti... sono la dolcezza della gens nova, non affamate ma pronte a perdersi nella politica... rassicuranti e pacificanti custodi dell’irruenza del capo” (Repubblica). Ora purtroppo si scopre che la dolce gens nova che ci apriva al futuro ha ereditato i peggiori vizi della ruvida gens vetusta che ci ancorava al passato. Meglio lasciar correre. Anche perché per tre anni gli aedi hanno cantato le epiche gesta della Marianna sulle barricate per la “meritocrazia” e contro i “furbetti”. Un quadretto edificante, anzi botticelliano, difficilmente compatibile con quello della furbona del copia-incolla. Giancarlo Perna, sul Giornale, raccontò di quando una poco più che ventenne Madia, in procinto di laurearsi in Scienze politiche, agganciò Enrico Letta a un convegno profondendosi in tali salamelecchi da indurlo a invitarla a un meeting della fondazione Arel. E lì la Marianna gli esibì un curriculum con su scritto: “Laurea con lode tra un mese”. Previsione azzeccata, che estasiò l’Enrico: “Marianna è straordinaria”. Ma non aveva letto bene, perché nel curriculum doveva esserci pure scritto: “Ministra di qualcosa entro dieci anni”.
Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2017.
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