Memorie di Tiziano
Marco Travaglio - Il Fatto 05.03.2017
Dobbiamo prepararci a porgere le nostre scuse a B. e all’avvocato Ghedini. Da anni sghignazziamo sulla loro linea difensiva in Mignottopoli, imperniata su quattro capisaldi: B. credeva che Ruby, marocchina, fosse nipote di Mubarak, egiziano; ad Arcore nessun bungabunga, solo cene eleganti; lui pagava la giovane prostituta perché non si prostituisse e le olgettine perché disoccupate a causa della sua persecuzione giudiziaria; e comunque è innocente perché fu al massimo l’utilizzatore finale delle mignotte.
Ma ora, dinanzi alle difese di babbo Renzi e dei compagni di merende, dobbiamo cospargerci il capo di cenere: B. al confronto aveva un alibi di ferro. Anzi, di acciaio inox.
Il padre pellegrino.
Il renziano Luigi Marroni, ad di Consip nominato da Renzi, racconta ai pm di aver incontrato babbo Tiziano che, con Carlo Russo, gli fece pressioni e ricatti per favorire Alfredo Romeo in un mega-appalto; e che ad avvertire i vertici Consip delle indagini furono i generali Del Sette e Saltalamacchia, il sottosegretario Lotti e il presidente di Publiacqua Vannoni (che conferma), così lui fece rimuovere dagli uffici le microspie piazzate due giorni prima e rovinò l’indagine.
Ma babbo Renzi nega pressioni e ricatti, giura di non conoscere Romeo (invece il commercialista di Romeo parla di un pranzo fra i due in una bettola) e accusa Russo di “abuso del mio cognome”.
Poi cala l’arma segreta: incontrò due volte Marroni, ma per parlargli della Madonna di Medjugorje e aiutarlo col parroco che lo guardava storto perché separato dalla moglie. La prima chiese a Marroni di “mettere una statua della Madonna di Medjugorje davanti all’ospedale pediatrico di Firenze”. La seconda, dopo oltre un anno di macerazione interiore, Marroni gli comunicò che “la statua non si poteva mettere per una questione di rispetto delle altre religioni”. Più che il padre del premier, il padre pellegrino: diceva ”Maria” e l’altro capiva “Romeo”; diceva “miracolo” e l’altro capiva “soldi”. Mister Pirl.
Il 7 dicembre, tre giorni dopo la disfatta referendaria, Tiziano parte da Rignano in auto per l’aeroporto di Fiumicino: 300 km all’andata e 300 al ritorno per un colloquio di 40 minuti con Mister X nel parcheggio dell’area riservata. Al suo rientro, Russo viene chiamato da Roberto Bargilli detto Billy, già autista del camper di Matteo alle primarie 2012, ora assessore a Rignano, che gli dice a nome del “babbo” di “non chiamarlo e mandargli sms”. Gli investigatori deducono che Mr. X sia dei servizi o dell’Arma (ha accesso all’area riservata e a notizie riservate sulle indagini). E che sia incaricato di fornire al padre dell’ormai ex premier nuovi particolari su intercettazioni e pedinamenti per salvare lui, Russo & C. da guai peggiori. Tutti timori infondati. Tiziano infatti non c’entra con Marroni, Romeo e gli appalti: lui si occupa solo di Madonne e di parroci. Dunque Marroni si suicida sputtanando il padre di Renzi (che l’ha nominato), due alti ufficiali e un ministro di Gentiloni (che l’ha riconfermato) ed esponendosi al rischio di una raffica di querele per calunnia (che però non arrivano) e alla sicura cacciata (che però non arriva): il tutto per niente.
Oppure, in alternativa, i vertici dell’Arma e l’allora sottosegretario Lotti si rovinano la reputazione (la carriera no, ci mancherebbe) per allertare la Consip sulle microspie appena piazzate e proteggere così quel sant’uomo del babbo dell’allora premier, sospettando (i malpensanti) che si stia occupando di affari e di tangenti, mentre quello è tutto preso dai pellegrinaggi mariani e dalle statuette della Vergine. E che dire di Mister Pirl che convoca d’urgenza il pio Tiziano per tappargli la bocca, ignaro del fatto che lui parla solo della Madonna di Medjugorje (che fra l’altro secondo il Vaticano neppure esiste)?
E che pensare di quel frescone di Romeo, convinto che babbo Renzi lo stia aiutando “ai massimi vertici politici” e si accinge a stipendiarlo con 30 mila euro al mese (più 5 mila a bimestre per il fido Russo), mentre il padre pellegrino si occupa solo dei massimi vertici celesti?
ProvinciaLotti.
Sentito in tutta fretta, a sua gentile richiesta, dai pm di Roma il 27 dicembre, il neoministro dello Sport Luca Lotti racconta un episodio davvero curioso occorsogli appena sei giorni prima. Il 21 dicembre, alle 6.30 del mattino, si trova alla stazione di Firenze davanti al Frecciarossa in partenza per Roma. E chi ti incontra, “casualmente”? Il presidente di Publiacqua Vannoni, amico suo e di Matteo, a sua volta in partenza per Napoli. I due non si vedono “da sei mesi”. Vannoni sta andando dai pm di Napoli a testimoniare sulla fuga di notizie Consip, ma a Lotti non lo dice, anche se non è un segreto. Nel pomeriggio Lotti è in un corridoio di Palazzo Chigi e chi ti reincontra? Vannoni. Toh, che combinazione: per sei mesi niente, poi due volte in un giorno, prima e dopo il pasto. Vannoni è lì per dirgli ciò che non gli ha detto al mattino: è stato dai pm. E per spifferargli il suo verbale che, a differenza della convocazione, è top secret: “Imbarazzato e concitato, Vannoni mi ha informato di aver riferito a Woodcock di aver ricevuto da me informazioni sulle indagini Consip; alle mie rimostranze circa la falsità di quanto affermato, ha ammesso di aver mentito e si è scusato imbarazzato”. Al che Lotti narra di avergli detto: “Non ti do una testata per rispetto del luogo nel quale siamo”. Cioè: per rispetto del luogo in cui sono, un ministro indagato per violazione del segreto minaccia un testimone che sta violando il segreto. Poi che fa? Si precipita in Procura a denunciare Vannoni per calunnia, o dal sindaco Dario Nardella per farlo cacciare da Publiacqua? Nossignori: sta fermo e zitto per due giorni, finché il 23 dicembre il Fatto gli rivela che è indagato. Allora scrive su Facebook che la notizia “non esiste”, poi chiede ai pm di esser interrogato perché la notizia esiste.
L’Insaputo.
Intanto, nel Giglio Fracico, c’è solo un uomo che non sa nulla: Matteo Renzi. Delle indagini Consip sanno suo padre Tiziano (e forse anche sua madre Lalla, al secolo Laura Bovoli, new entry dell’inchiesta grazie alla telefonata di Russo con Romeo su una Srl a cui destinare o meno certi soldi), l’amico Russo, gli amici Marroni e Vannoni, l’amico e finanziatore Romeo, probabilmente gli amici generali Del Sette e Saltalamacchia, persino l’amico Billy, autista del suo camper, ma nessuno gli dice mai nulla. Nemmeno il suo tesoriere Francesco Bonifazi, che ha incontrato Russo per parlare dell’eventuale salvataggio dell’Unità a opera del solito Romeo. Nemmeno il tesoriere della sua fondazione Open-Big Bang (che raccoglie i finanziamenti alla corrente renziana e alla Leopolda, compresi quelli di Buzzi e quelli di Romeo), l’amico avvocato Alberto Bianchi, che lavora da quattro anni per la Consip per la modica cifra di 300 mila euro.
E Matteo non è mica un tipo curioso, infatti non chiede nulla a nessun genitore né amico, nemmeno quando il Fatto racconta tutto. Che ragazzo riservato. Solo Vannoni sostiene che anche Matteo sapeva dell’inchiesta e gli disse di “stare attento a Consip”, ma chi potrebbe mai credere a un teorema così bislacco? Chi potrebbe mai sospettare che qualcuno dei suoi famigliari o fedelissimi parlasse con lui dell’indagine che avrebbe potuto segnare la fine prematura della sua carriera? Al massimo, sapeva ma a sua insaputa. Rovesciando il detto socratico: non sapeva di sapere.
Ps. Tutti i protagonisti del caso, grazie alla rocciosa credibilità delle loro versioni, restano al loro posto: Lotti ministro, Del Sette comandante generale dei carabinieri, Saltalamacchia capo dell’Arma in Toscana, Marroni a Consip, Vannoni a Publiacqua, Bargilli assessore del Pd a Rignano. Tutti, tranne i carabinieri del Noe che, avendo scoperto lo scandalo, non possono continuare a investigare un solo giorno di più.
Ieri la Procura di Roma, così distratta sulle fughe di notizie su Muraro, Marra, Raggi, Di Maio e Romeo (l’altro, Salvatore, quello delle polizze), li ha sollevati dall’incarico. Le indagini saranno trasferite, per competenza, a Medjugorje.
Commenti
Posta un commento