L’ultimo liberale

Fino a 70 anni Giovanni Sartori fu “soltanto” un professore. Poi, nel 1994, alla discesa in campo di Silvio Berlusconi, avvertì la chiamata alle armi alla veneranda età di 70. E rispose subito di sì. Dalle colonne del Corriere di Paolo Mieli divenne uno dei polemisti più battaglieri contro quello che senza falsi pudori chiamava “il regime mediatico”. E fu tra i primi e anzi unici a dirlo con la consueta schiettezza, insieme a un altro toscanaccio burbero, elegante e conservatore come lui: Indro Montanelli. Naturalmente, essendosi in Italia perso lo stampo dei veri liberali e dei veri conservatori, venne i ps o fa cto iscritto dagli sparafucile berlusconiani all’Albo dei Comunisti, lui che era stato sempre visceralmente anti (come del resto altri presunti convertiti al bolscevismo, da Montanelli all’Ecomunist). Nel Paese del palio e degli ultrà, che non riescono a vedere il mondo al di là dello schemino infantile destra-sinistra, l’idea che un uomo della sua cultura osteggiasse e disprezzasse la destra illiberal-aziendale di B. era peggio di una bestemmia in chiesa. E lui, spirito mordace e anticonformista, rideva con gli amici di quel destino bizzarro che l’aveva traslocato dall’Indice della sinistra a quello della destra.                

Come quelle di Montanelli e dell’Economist, le sue scudisciate sono per B. le più brucianti: proprio perché non vengono dalla sinistra politico-giornalistico-intellettuale e non possono essere seriamente etichettate di pregiudizio ideologico, di partito preso. Lui non ce l’ha con B. per quello che è e dice, ma per quello che fa. Soprattutto per i conflitti d’interessi e le leggi ad personam, che per uno studioso della democrazia sono altrettanti colpi di Stato. “Con B. la Costituzione non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno. S’impacchetta la Consulta, si paralizza la magistratura... si può lasciare intatto tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere ‘transitivo’ che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo”. E ancora: “In Italia anche la tv ‘di tutti’ è imbavagliata; il che consente a Berlusconi e alla sua squadra di mentire senza ‘spazio di controprova’. Si capisce, a mentire ci provano tutti. Ma dove la tv è autenticamente libera le bugie hanno le gambe corte, mentre da noi hanno gambe lunghissime. La verità, sulla nostra tv, non è accertabile”. Nel 2001, dei suoi implacabili editoriali, oltreché delle cronache giudiziarie e pure delle vignette di Giannelli, fa le spese il direttore del Corriere che li ospita: Ferruccio de Bortoli.                   

“C’è il pericolo di un regime berlusconiano”, scrive il prof dopo l’editto bulgaro contro Biagi, Luttazzi e Santoro: “Regime non vuol dire regime fascista, in passato si è parlato di regime democristiano o gollista. A me sembra esatto dire che Ciampi sta spalancando le porte a un regime berlusconiano. Le regole di fondo della democrazia sono in pericolo... Nelle dittature il dittatore mente quanto vuole senza tema di smentite. Manca il modo per smentirlo: il dittatore comanda su tutti i media... Lei ha dichiarato, signor presidente del Consiglio, che ‘non sarà consentito a chi è stato comunista di andare al potere’. Queste cose le diceva Mussolini. Lei non ha nessun motivo di aver paura. Io sì”. Insultato e denunciato per due anni, Ferruccio se ne va senza che l’editore Cesare Romiti lo trattenga. Ma Sartori, quando lo fanno ancora scrivere, continua la sua battaglia, anche contro chi non la combatte con la dovuta energia. Rimprovera i loro cedimenti a Ciampi e Napolitano (che detesta cordialmente). E, quando i soliti pompieri osservano che “non bisogna tirare i presidenti per la giacchetta”, replica beffardo: “Pazienza, se si strappa se ne compreranno un’altra”.        

Una sera, a L’infedele, tenta di riportare ai fondamentali Panebianco, Battista e altri scolaretti ripetenti: “Ma lo capite che qui non è questione di destra o sinistra? Qui c’è un signore che fa le leggi per sé, che abusa del suo potere e calpesta gli altri poteri, controlla tutte le tv senza le quali non avrebbe vinto”.E gli altri giù a paraculeggiare (notoriamente B., come poi il suo figlioccio Renzi, le tv le occupano per puro masochismo, ben sapendo che logorano chi le ha). Partecipa felice a varie manifestazioni dei girotondi e di MicroMega ed entra nel comitato dei garanti di Libertà e Giustizia, fondata da De Benedetti. Ma appena questi annuncia un fondo finanziario con B., si dimette dal comitato.         

Per cultura e temperamento, non può amare i 5Stelle, infatti detesta pure loro. Ma non si associa a chi vuole scomunicarli col nuovo arco (in)costituzionale. Nel 2007 commenta il V-Day ad Annozero: “Non sono grillino, Grillo non è il mio tipo, ma se riesce a dar voce alla gente, giustamente stufa come me di que st’arroganza insopportabile, mi va benissimo. Per anni noi osservatori siamo andati a sbattere contro un muro che non lasciava varchi: Grillo ne ha trovato uno. Noi siamo stati profeti disarmati, non abbiamo ottenuto niente di concreto contro il muro corazzato e la sicumera dei politici. Grillo ha trovato la crepa, come un profeta armato: vivaddio. È esploso il coperchio di una pentola che non eravamo riusciti a scoperchiare: lui sì”.      

Quando nasce il Fatto, ci sostiene e ci incoraggia: “Tenetemi un posto, ché se le cose al Corriere vanno male...”. Di Renzi, fa in tempo a dire che, “è un imbroglione aggressivo, mentre B. è un imbroglione morbido”. E al referendum si schiera per il No. Non solo per un fatto di contenuti (“la riforma è stupida”), ma anche di estetica. Tollerante per cultura, Sartori non perdona tre soli peccati: l’ignoranza, la stupidità e la banalità. Da oggi, nel Paese dei finti liberali, sarà ancor più difficile riconoscerne uno vero.

di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano, 5 aprile 2017.

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