2013, la vera storia

Circolano, sui giornaloni e sul web, versioni farlocche del dopo-elezioni del 2013 e del perchè cinque anni fa non si arrivò a una collaborazione di governo fra Pd e 5Stelle. Nell’ansia di giustificare il niet dei pidini odierni con quello dei grillini di allora, si ricorda un solo fotogramma: il dialogo fra sordi in streaming fra il segretario Pd Bersani e i capigruppo M5S Crimi e Lombardi. E si occulta tutto il resto del film, anche perchè avvenne nelle segrete stanze e nessuno lo vide. Una cronologia dei fatti aiuterà i soliti smemorati pelosi a ricordare meglio.

26 febbraio. Pd e Pdl perdono le elezioni (-3,5 milioni di voti il primo, -6,5 milioni il secondo) e i 5Stelle le vincono (da 0 a 8,6 milioni di voti). Il M5S è il primo partito in Italia, col 25,5%, poi superato dal Pd d’un soffio grazie agli italiani all’estero. In ogni caso il Porcellum premia le coalizioni e il Pd con Sel arriva al 30 e agguanta il premio di maggioranza (incostituzionale): 478 parlamentari, contro i 242 Pdl e i 163 M5S. Bersani giura: “Mai più larghe intese con B.” e pensa a un suo governo di minoranza Pd-Sel-Centro con l’astensione M5S al Senato (lì gli mancano 17 voti).

16 marzo. Il centrosinistra potrebbe cedere la presidenza di una Camera al M5S, invece se le prende entrambe: Boldrini a Montecitorio e Grasso (grazie ad almeno 13 grillini, allarmati dall’alternativa Schifani) a Palazzo Madama. Ezio Mauro, direttore di Repubblica, dopo anni di demonizzazione dei 5Stelle, auspica un “impegno congiunto di Pd e M5S” per approvare “subito, ora” le leggi che il Pd non ha mai fatto in vent’anni. Ma il Pd, anziché sfidare i 5Stelle su un governo e un programma comune, avvia uno “scouting” sotterraneo contattandoli a uno a uno, ovviamente invano. “Il Pd inizi a rinunciare ai finanziamenti pubblici”, è invece la sfida di Beppe Grillo. I 5Stelle non ritirano i loro 48 milioni, Pd-Pdl&C ne intascano 100.

20 marzo. Napolitano inizia le consultazioni, ma alla rovescia. Non chiede ai partiti che governo vogliono, ma dice loro che governo vuole: le larghe intese Pd-Pdl-Centro, appena bocciate alle urne. Bersani risponde picche e insiste per il governo di minoranza. Il M5S chiede un governo a tempo e di scopo (legge elettorale e poche altre cose) con un premier fuori dai partiti per tornare presto al voto. B., fra una marcia anti-giudici e una condanna, vuole rientrare in gioco con le larghe intese.

22 marzo. Napolitano sabota Bersani con un “preincarico” esplorativo, condizionato a “numeri certi in Senato”. E invoca “larghe intese”.
Bersani consulta i partiti, il Cai, il Wwf, il Touring Club, don Ciotti e Saviano e annuncia il suo “dream team”, uno “squadrone”. D’Alema gli dice di farsi da parte e indicare Rodotà come premier-ponte verso il M5S. Invano.

27 marzo. Ecco il famoso streaming fra Bersani-Letta e Crimi-Lombardi. Incomunicabilità totale. Un po’ per l’immaturità dei 5Stelle, appena entrati in Parlamento e terrorizzati dai trabocchetti. Un po’ per la pretesa francamente eccessiva del Pd del loro appoggio esterno e gratuito a un governo con ministri e programma decisi da chi ha i loro stessi voti. Ma, se anche il M5S accettasse di far nascere il governo Bersani con una ventina di uscite strategiche dal Senato, Napolitano direbbe no comunque: vuole numeri certi e precostituiti. Infatti il vicesegretario Pd Enrico Letta gioca un’altra partita con il Colle: lavora con lo zio Gianni a un accordo con B. in cambio di un nuovo capo dello Stato “condiviso”. Violante offre al Pdl una “Convenzione per riformare la Costituzione”. Altri dem cercano voti dalla Lega e dai dissidenti Pdl di Miccichè. Rosy Bindi è sconsolata: “Siamo partiti incontrando Saviano e finiamo a chiedere i voti a Miccichè”.

28 marzo. Bersani sale al Colle a mani vuote, ma chiede l’incarico pieno. Napolitano glielo nega, insiste per il governo con B. e riapre le consultazioni. Stavolta i 5Stelle hanno in tasca i nomi dei possibili premier super partes: Rodotà, Zagrebelsky e Settis. Ma Napolitano li stoppa prima che li dicano: “Niente premier esterni ai partiti”.

30 marzo. Dopo aver minacciato e smentito dimissioni anticipate sul 15 aprile, Napolitano nomina 10 “saggi” per dettare il programma al futuro governo: tutti di area Pd, Sel, Pdl e Centro, nessuno vicino al M5S.E auspica “larghe intese” per il Quirinale.

9 aprile. Bersani e Letta incontrano B. e Alfano a Montecitorio, per avviare il dialogo sul nuovo Presidente.
16 aprile. Quirinarie online M5S: vincono Gabanelli, Strada, Rodotà e Zagrebelsky. Grillo si appella al Pd: “Votiamo insieme la Gabanelli, dichiariamo ineleggibile B., poi vediamo. Può essere l’inizio di una collaborazione, sarebbe il primo passo per governare insieme”. Il Pd non risponde, anzi pensa ad Amato presidente eletto con B.

17 aprile. Gabanelli e Strada rinunciano: Rodotà è il candidato M5S. Grillo al Pd: “Votiamolo insieme”. Ma Bersani rivede B. a casa di Enrico Letta e s’accorda con lui su Marini. Renzi: “Marini è un dispetto all’Italia, meglio Rodotà”. Orfini: “Tra Marini e Rodotà, scelgo Rodotà”. I militanti Pd assediano l’assemblea al grido di “Ro-do-tà!”.

18 aprile. Marini impallinato da 218 franchi tiratori. Nasce “Occupy Pd”: tessere stracciate e proteste nelle sezioni di tutt’Italia a favore di Rodotà. Per frenare il dissenso, Bersani molla B. e sceglie Prodi, candidato per acclamazione da tutta l’assemblea dei grandi elettori Pd.

19 aprile. Prodi fucilato alla schiena da almeno 101 franchi tiratori. Ultimo appello di Grillo al Pd: “Se eleggiamo presidente Rodotà, facciamo un governo completamente diverso, facciamo ripartire l’economia. Bersani finora non ha chiesto di fare insieme il governo, ha solo chiesto i nostri voti per il suo”. Aggiungono Crimi e Lombardi: “Se il Pd vota Rodotà, si aprono praterie per il governo del cambiamento”. Con il loro candidato al Quirinale, i 5Stelle non potrebbero mai dire no a un governo col centrosinistra. Rodotà dice a Repubblica: “I dirigenti del Pd mi conoscono da una vita e neanche mi hanno fatto una telefonata. Eppure ho lavorato per anni con loro, quando gli faceva comodo mi cercavano eccome. Io non sono stato scelto da Grillo, ma dalla Rete mesi di sottoscrizioni, firme, appelli”. Ma anche le sue parole cadono nel vuoto. La figlia giornalista Maria Laura rivela sconsolata: “Fantastico: pur di non parlare col garante (il padre, ndr), quelli del Pd chiamano me per convincermi a convincerlo non si sa di che”. Cioè a ritirarsi per fornire loro l’alibi per non votarlo e salvarli dai militanti furiosi. B. chiama Napolitano e gli chiede di farsi rieleggere. Lui, che ha passato l’ultimo anno a smentire il bis, accetta.

20 aprile. Ultimi, disperati tentativi di Barca, Emiliano, Mineo, Cofferati e Civati di portare il Pd su Rodotà. Ma ormai il partito di Napolitano, di B. e dei due Letta ha la partita in pugno. Anche Bersani si arrende. Napolitano elogia B. per il “comportamento da statista”. E lo abbraccia. Così i partiti che hanno perso le elezioni rieleggono Re Giorgio a 88 anni per tagliare fuori chi le ha vinte e resuscitare B.

22 aprile. In mattinata, a Palermo, i giudici distruggono i cd-rom con le telefonate Napolitano-Mancino sulla trattativa Stato-mafia, come disposto dalla Consulta. Nel pomeriggio Napolitano tiene il discorso di reinsediamento a Camere riunite: attacca i 5Stelle, strapazza i partiti che l’hanno appena rieletto, ordina un governo di larghe intese e intima la riforma della Costituzione (che proprio in quel momento sta calpestando): se no, minaccia, se ne andrà. I vecchi partiti sotto ricatto si spellano le mani per l’Imbalsamatore dell’Ancien Regime. B. canta “Meno male che Giorgio c’è”. Bersani, scuro in volto, tamburella con le dita sul suo banco sul ritornello: “Ro-do-tà, Ro-do-tà…”.

23 aprile. Incontro a Roma fra Letta jr. e Renzi, che telefonano a B. per sapere chi dei due preferisca come premier. Lui risponde: ”Enrico Letta o Giuliano Amato”.

24 aprile. Napolitano incarica Letta jr. per un governo con tutti i partiti sconfitti alle elezioni di due mesi prima. E i vincitori fuori.
di Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2017

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