Riceviamo e volentieri pubblichiamo una vigorosa lezione di imparzialità dall’autorevole pulpito di Repubblica, per la penna di Luca Bottura, dal titolo “E Ingroia allora?”: “Ieri il Giornale dei Giusti (che non nomino per evitare altre paginate contro quei maleducati di Repubblica) ha aperto la prima con Ingroia, e trattato Saviano alla stregua di una boutade salviniana: richiamino, pezzetto interno in punta di penna in cui il Ministro dell’Interno e il suo bersaglio venivano descritti in una sorta di balletto paritetico… Ora, è persino evidente che il GdG (che, per chi non sapesse cogliere la sottile ironia del Bottura, è il Fatto Quotidiano, ndr) fa le sue insindacabili scelte, specie quando la notizia dell’Ingroia abbandonato è un’esclusiva dovuta all’ascolto molto attento del giudice Di Matteo e di un suo intervento pubblico a Milano. Anzi, complimenti per il ‘buco’… Sarà mica che Saviano è finito taglio centro perché aveva la giacchetta sbagliata, la stessa che gli rimproverano su Twitter? Sarà mica che questo grottesco soppesare le notizie sulla base delle tribù di appartenenza ha imbruttito a morte anche il dialogo tra le persone decenti? Sarà mica che per solidarizzare con Ingroia non (sic, ndr) è necessario strizzare l’occhio ai ‘propri’ e trattare Saviano come un vanesio che forse un po’ se l’è cercata?”.
Fine della lezione di giornalismo. Ora, lo spiritoso Bottura è libero di non apprezzare il Fatto e di preferire il suo, Repubblica, che da due giorni ignora la notizia della scorta tolta a Ingroia (come pure la pronuncia della Cassazione che smonta pezzo per pezzo il complotto Scafarto-Fatto contro i Renzis su Consip, montato per mesi da Repubblica). Ma non può raccontare, ai suoi eventuali lettori, tutte queste frottole sul Fatto. Altrimenti, se non una paginata, si becca almeno due colonne contro quei maleducati di Repubblica.
Alla minaccia salviniana di levare la scorta a Saviano abbiamo dedicato per tutto giovedì titoloni anche di apertura sul nostro sito. L’indomani abbiamo dato la notizia in prima pagina, l’abbiamo riraccontata all’interno con un pezzo di cronaca e, siccome distinguiamo i fatti dalle opinioni, l’abbiamo commentata in prima pagina nei primi due terzi dell’editoriale del sottoscritto direttore. Lì definivo Salvini “cosiddetto ministro dell’Interno” e le sue penultime esternazioni “flatulenze uscite dal buco sbagliato”. Ricordavo che “sulle scorte non si scherza”, perché già Falcone aveva subìto polemiche simili e Paolo Borsellino e Marco Biagi avevano perso la vita per certe “distrazioni” sulla loro protezione.
Aggiungevo che Saviano “sui migranti criticò la linea dura di Minniti e ora critica la linea durissima di S.: tutto gli si può dire, tranne che non sia coerente”, tant’è che chiese pure “le dimissioni della Boschi per i conflitti d’interessi su Etruria, beccandosi gli insulti dei rottweiler pidini (Rondolino lo paragonò sull’Unità a un ‘mafiosetto di quartiere’ nel silenzio di tutti, compreso il suo giornale, ma non del Fatto)”; ergo Salvini deve smetterla “di tirare in ballo la sua scorta (non è la prima volta che lo fa). Perché Roberto non se l’è data da solo. Perché chiunque ce l’abbia fa una vita di merda. E perché non si può minacciare di levarla a chi dissente. Altrimenti è un ricatto, minaccioso e pericoloso: se mi elogi ti proteggo, se mi critichi ti lascio ammazzare. E nessun uomo delle istituzioni… può permettersi questi messaggi mafiosetti: lo Stato non è roba sua, e nemmeno le forze dell’ordine o le scorte”. La sera prima, a Otto e mezzo, avevo definito quello di Salvini a Saviano “un ricatto inaudito e indegno”. Ma Bottura non sa leggere e dev’essere pure duro d’orecchi. Infatti accusa “il Giornale dei Giusti” (battutona) di preferire Ingroia a Saviano e di usare l’uno per nascondere l’altro, in quanto il primo indosserebbe la “giacchetta” della “tribù” giusta e Saviano di quella “sbagliata”. Il tapino non spiega quali sarebbero la giacchetta e la tribù del Fatto e di Ingroia, né quelle di Saviano. Né può trovare una sola sillaba sul nostro giornale che tratti Saviano “come un vanesio che forse un po’ se l’è cercata”. Ma lui la butta lì lo stesso, per gettare sterco sulla concorrenza e fumo negli occhi ai presunti lettori.
Questa gentucola è così avvezza a indossare giacchette e a intrupparsi in tribù da non riuscire a immaginare un giornale senza giacchette e da avvertire l’irresistibile esigenza di attribuirne una a chi non ne ha nessuna (a proposito: quali giacchette indossavano Repubblica, il Fatto e Saviano quando Roberto criticò la Boschi, si beccò del “mafiosetto di quartiere” sull’Unità, Repubblica non scrisse una riga e gli unici a dare la notizia e la solidarietà all’insultato fu il Fatto?). Se poi l’arguto Bottura vuole davvero sapere perché la notizia sulla scorta di Ingroia, svelata giovedì dal pm più minacciato e scortato d’Italia (Nino Di Matteo), meritasse più spazio di quella sulla scorta di Saviano, lo accontentiamo subito: a Ingroia la scorta l’hanno tolta due mesi fa, dunque è già in pericolo di vita; a Saviano per fortuna non l’hanno tolta. Il guaio è che, ad ascoltare Di Matteo in un pubblico dibattito, il Fatto c’era: Repubblica, che pure a Milano ha una mega-redazione, no. Questione di giacchette o di tribù anche quella? Ma Bottura, si sa, è un fine umorista: infatti ci chiama a giustificarci per avere scoperto (con un “ascolto molto attento del giudice Di Matteo”, dunque sospetto) e dato una notizia che Repubblica ha ignorato il primo giorno e continua a ignorare ora che l’hanno ripresa il Corriere e altre testate, fra cui CanicattìWeb. Forza, maestri di giornalismo: ce la potete fare anche voi. Se non per imparzialità, almeno per sense of humour. Magari fra qualche giorno. Senza fretta. Con comodo.
di Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 24 giugno 2018
Commenti
Posta un commento