Non so chi sia davvero Elena Ferrante. Ma so, dopo aver letto l’ultima sua rubrica sul Guardian, che oltreché una grande scrittrice, è anche una delle migliori teste della sinistra italiana. In poche righe spiega meglio di qualunque trattato politologico quel che accade dopo il 4 marzo: “La guerra contro il Movimento 5Stelle ci ha impedito di vedere che il pericolo è un altro: la Lega di Matteo Salvini”.
La Ferrante non ha votato 5Stelle, ma centrosinistra. Eppure del M5S dice: “Mi è estraneo il suo linguaggio confuso, a volte ingenuo, a volte banale. Ma penso anche che sia un grave errore considerarlo un pericolo per la democrazia italiana e, più in generale, per l’Europa..
Non ho mai condiviso l’apprensione per l’ascesa politica dei 5Stelle. Mi è sembrato un importante contenitore per lo scontento generato dal modo disastroso con cui i governi di destra e di sinistra, in Italia come in Europa, hanno affrontato la crisi economica e il cambiamento epocale che stiamo vivendo”.
Su un unico punto, secondo me, la Ferrante sbaglia: là dove parla di “errore”. La sistematica demonizzazione-emarginazione dei 5Stelle nell’ultimo quinquennio non è stata un errore: ma una scelta precisa. Una sera, prima di un dibattito a La7, l’ho sentita teorizzare dall’allora premier e segretario del Pd Matteo Renzi: “Per me Salvini è l’avversario ideale. Se continua a crescere e a frenare l’avanzata 5Stelle, per noi è una pacchia, perché spaventa la maggioranza degli italiani che fra noi e lui, magari turandosi il naso, preferiranno sempre noi”.
Era, credo, l’autunno del 2014: il Pd era reduce dal trionfo (40.8%) alle Europee, aveva tutta la grande stampa e i poteri forti ai suoi piedi, controllava militarmente ogni angolo della Rai. Eppure – guardacaso - Salvini scorrazzava da un programma all’altro, dal “servizio pubblico” a Mediaset a La 7, e rubava voti al M5S (sceso sotto il 20%) con le solite sparate sui migranti e i diversi: tant’è che la Lega, presa al 4%, veleggiava nei sondaggi oltre il 10.
E così per un anno, fino all’inatteso stop della tarda estate 2015, per la celebre immagine di Aylan Kurdi, il bimbo siriano in fuga dalla guerra trovato morto a testa in giù sulla spiaggia turca. Una foto storica che fece il giro del mondo, ribaltò per qualche mese il sentire comune sull’immigrazione e tappò la bocca al Cazzaro Verde. Poi, col nuovo boom di sbarchi, il pendolo dell’opinione pubblica tornò indietro. E quando nel 2017, dopo quattro anni di vacanza (cioè di Alfano), al Viminale arrivò Minniti, la sua politica di rigore e pragmatismo fu troppo tardiva per non sembrare concorrenza sleale a Salvini.
Il quale, intanto, era stato risparmiato dal fuoco concentrico della propaganda dei media renzian-berlusconiani (quasi tutti). Anzi era stato invitato al tavolo del Rosatellum con Renzi e B., per tener fuori il M5S. E anche quando, in campagna elettorale, il Pd gli improvvisò una marcia antifascista contro, dipingendolo come il nuovo Mussolini, non fece altro che renderlo ancora più popolare: tra chi notava l’eccessiva iperbole propagandistica e tra chi un ducetto l’aveva sempre sognato.
Frattanto l’unico vero bersaglio della demonizzazione di massa erano i 5Stelle.
Le favolose fortune della Casaleggio Associati (sempre in perdita).
Le parolacce di Grillo.
I crimini contro l’umanità della Raggi (origine e causa di tutti i mali del mondo, dal famigerato Spelacchio in su).
Gli efferati delitti dei putribondi Appendino e Nogarin.
L’orrore senza fine perché 6-7 parlamentari su 130 non si erano tagliati la paga (come da sempre tutti quelli di tutti i partiti).
I sarcasmi razzisti e classisti per la tesi di laurea di Fico sui neomelodici napoletani e per la non-laurea di Di Maio, scandalosamente privo di un posto fisso nel Sud della piena occupazione.
Il pregiudizio universale su Conte, dipinto come una nullità che ci avrebbe mandati tutti in malora perché non frequenta i cocktail, le cene, le terrazze, i salotti e i giri giusti.
Mutatis mutandis, la sinistra politica, mediatica e intellettuale ha replicato con la Lega lo schema adottato per 25 anni con B.:
fingere di combatterlo, ma in realtà tenerlo in vita come comodo spaventapasseri per costringere tanta brava gente a votare il “meno peggio” dall’altra parte; e fucilare chiunque altro (Di Pietro, Girotondi, Cofferati ecc.) osasse far concorrenza a quelli “giusti”.
Questa destra orrenda (prima con B. e ora con Salvini) per il centrosinistra non solo non è mai stata un problema: ma è sempre stata una benedizione, l’unica ragione di sopravvivenza di un ceto politico che altrimenti non avrebbe alcun senso.
Finché dall’altra parte c’è il babau, da questa si può continuare in eterno con le vecchie facce e le vecchie pratiche, senz’alcuno sforzo di rinnovamento.
Se invece c’è un movimento di facce nuove, ingenue e impreparate finché si vuole, ma pulite e sintonizzate sui bisogni di milioni di esclusi, è finita.
Perciò il Sistema ha sempre accettato la Lega, anche quella salviniana, come una forza addomesticabile e utilizzabile (infatti ora ci si aggrappa come all’ultima zattera per riciclarsi o almeno non estinguersi). Ma ha sempre vomitato gli incontrollabili 5Stelle come corpi estranei, marziani, barbari, usurpatori. Il gioco però non ha funzionato, perché la maggioranza degli elettori era talmente schifata dal passato da premiare sia il nuovo dei 5Stelle sia l’usato finto-nuovo della Lega, portandoli al massimo storico di voti.
Così la geniale strategia di Renzi & B. di scatenare Salvini contro Di Maio per far perdere i 5Stelle, far vincere Pd e FI e propiziare il governo Renzusconi ha sortito l’effetto opposto. E continua a sortirlo dopo il gran rifiuto dem di qualunque dialogo coi 5Stelle per spingerli tra le fauci di Salvini, confidando nel controesodo degli elettori. Che invece restano dove sono o stanno a casa, ma una sola cosa non fanno: tornare all’ovile, visto che non sono pecore. Anche perché quel che vuol fare la maggioranza giallo-verde, l’hanno capito tutti. Ma cosa voglia fare il Pd, a parte quel che ha già fatto con banche, lobby, vitalizi, rimborsopoli, scandali, Ilva e grandi opere inutili, non lo capisce nessuno.
Renzi si arma di pop-corn e sfida 5Stelle e Lega a mantenere le promesse, che lui però considera pericolose, letali e un po’ fasciste, dunque non si vede il senso dei pop-corn e di tutto il resto. A meno che i pop-corn non siano per l’eventuale pubblico dei format tv che, archiviata la trovata del partito Micron (dato dai sondaggi al 4%), il Matteo minor si propone di scrivere nella sua ultima reincarnazione di autore e conduttore tv (lo vedremo presto a fare il valletto di Paola Perego in Pomeriggio in famiglia con la Boschi o a Forum con babbo Tiziano e mamma Laura imputati per false fatture).
Calenda, che è un Renzi con più pancia, rilancia l’ideona del “fronte repubblicano”, senza spiegare con chi ce l’ha (coi monarchici?). E vuole “andare oltre il Pd”, come peraltro fanno gli elettori da mo’. Per le ragioni che spiega bene la Ferrante.
L’autoreggente Martina dice che “dal Pd non si po’ prescindere”, mentre gli italiani ne prescindono benissimo. Il capogruppo renziano Marcucci si consola a modo suo: “Visto? Il Pd perde anche senza Renzi”. E sono soddisfazioni: manco fosse una gara a chi riesce a perdere di più.
Da oggi il Fatto ascolta le voci più autorevoli della sinistra sul fu Pd e su come ridare forma a un patrimonio politico e culturale, senza il quale la democrazia diventa zoppa: per mancanza di opposizione ed eccesso di maggioranza.
Infatti, mentre lorsignori si accapigliano sulla parola “oltre” (che sostituisce, negli onanismi dem, il celebre “trattino” fra centro e sinistra) e su concetti astrusi come congressi, primarie, assemblee e direzioni, il bipolarismo che sognano di riesumare per tornare in gioco come baluardi al “populismo” si realizza alle loro spalle, tutto interno alla maggioranza “populista”: chi teme Salvini guarda a Conte, Di Maio e Fico, sperando che lo tengano a bada. Non chiede certo aiuto al Pd, che nessuno calcola più.
Ricordate il geniale hashtag renziano contro il dialogo con i 5Stelle? Diceva così: #senzadime.
Ora è il motto degli elettori in fuga.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 26 giugno 2018
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