I fascisti rossi



In attesa di studiare nel dettaglio il primo decreto del governo Conte, battezzato “Dignità” dal vicepremier Di Maio e varato ieri dal Consiglio dei ministri, abbiamo già la netta sensazione che contenga qualcosa di buono.
Infatti, prim’ancora di vedere la luce, ha già registrato l’ostilità, nell’ordine, di: Confindustria cioè Pd renziano e calendiano, Mediaset cioè Forza Italia, aziende schiaviste che sfruttano i rider, lobby biscazziera e Giornale Unico Rosicante. Quando hai contro tanta bella gente, sorge il sospetto che tu abbia ragione. Se poi ti vengono addosso anche Giuliano Cazzola, che addita al pubblico ludibrio le pericolose analogie fra alcuni passi del decreto e alcune proposte della Fiom-Cgil (manco fosse Cosa Nostra), e il Giornale di Sallusti, che scova con raccapriccio fra i consiglieri di Di Maio economisti di sinistra come Alleva e Tridico (manco fossero Riina e Provenzano), il sospetto diventa certezza.
Mettetevi nei panni dei tromboni che da un mese ripetono in Italia e in Europa che questo è “il governo più di destra della storia repubblicana”, con evidenti parentele fasciste o forse naziste (invece i tre governi Berlusconi-Fini-Lega, il Monti-Fornero-Passera, il Letta-Berlusconi e il Renzi-Verdini-Alfano erano figli della Terza Internazionale).
Ora sarà un’impresa spiegare che il primo decreto del rinato Partito Nazionale Fascista è quanto di più a sinistra si sia visto da decenni. Nessuna rivoluzione, per carità. Ma è tutto relativo, visto chi c’era prima.
Qualche esempio.
1) Chi “delocalizza”, cioè prende i soldi dallo Stato, poi licenzia tutti e scappa con l’azienda all’estero, pagherà multe da 2 a 4 volte il beneficio pubblico, che poi restituirà con gl’interessi.
2) Contro la piaga della ludopatia, che prosciuga interi patrimoni, sono vietate le pubblicità e le sponsorizzazioni del gioco d’azzardo, pena multe salatissime.
3) Per i contratti di lavoro iperprecari “di somministrazione” a tempo determinato, valgono le regole degli altri contratti a scadenza: non più di 4 proroghe, per non più di 36 mesi.
4) I contratti a termine potranno durare 12 mesi, poi per rinnovarli (per soli altri 12) bisognerà indicare causali credibili, e con un piccolo costo in più per le imprese.
5) Fuori decreto, si lavora a un contratto collettivo nazionale per i lavoratori senza tutele del “food delivery” (il cibo a domicilio). E, fondi permettendo, al reddito di cittadinanza per chi cerca impiego e fa 8 ore settimanali di lavori socialmente utili.
Scavalcato a sinistra (ci voleva poco) da Di Maio, fra i pop-corn e la mega-villa, il povero (si fa per dire) Renzi schiuma di rabbia.
Ed estrae dal vecchio cilindro il solito coniglio ormai frusto e spelacchiato: il “milione di posti di lavoro” del suo Jobs Act, che in realtà produsse meno nuovi occupati (ammesso e non concesso che siano i governi a produrli) di quando non c’era, sperperando una dozzina di miliardi in incentivi alle imprese.
E spaccia per un trionfo gli ultimi penosi dati Istat sull’occupazione, che sembra aumentare perché crescono coloro che un lavoro non lo cercano neppure più e quelli che fanno lavoretti una volta ogni tanto: un’impietosa fotografia di quel che è diventata la cosiddetta “sinistra” in Italia, non a caso morta e sepolta il 4 marzo a vantaggio dei 5 Stelle e della Lega.
Prendiamo solo il punto 2 del decreto Dignità, che taglia le gambe alla lobby del gioco d’azzardo: voi l’avete mai sentito proporre da un leader della cosiddetta sinistra?
Magari non da Renzi o da Calenda, che stanno alla sinistra come B. alla legalità; ma almeno dalle buonanime di Pisapia e Boldrini?
Vado a memoria, ma ricordo tre soli soggetti che da anni battono su quel tasto: uno è il Fatto, che fin dalla fondazione ha dedicato decine di articoli alla mega-evasione da 98 miliardi dei concessionari di slot machine, sempre condonata da tutti i governi di destra e di sinistra, e alla piovra dei biscazzieri che fino all’altroieri faceva il bello e il cattivo tempo in Parlamento sotto ogni maggioranza, ottenendo licenze à go-go, sgravi fiscali e regalini in cambio di finanziamenti e/o mazzette;
la Chiesa, che alla ludopatia ha dedicato denunce e campagne su Avvenire;
e Beppe Grillo, che combatte su questo fronte da quando aveva solo qualche palco e un blog (al V-Day di Bologna, nel 2007, invitò a parlarne il nostro Ferruccio Sansa).
Ovviamente proibire le pubblicità, gli spot e le sponsorizzazioni di bische, slot machine, grattae(mai)vinci e tutti gli altri buchi neri che inghiottono milioni di disperati in cerca di riscatto, equiparando il gioco d’azzardo ad altre dipendenze tipo fumo, alcol e droga, significa attirarsi addosso una spaventosa potenza di fuoco e di denaro. Non solo Mediaset, che perderà un bel po’ di inserzionisti e infatti lacrima come una vite tagliata con gli occhi di quel che resta di FI e di Sallusti. Ma anche i padroni della serie A di calcio, tutte brave persone che nuotano nei miliardi e piangono miseria per la dipartita dei bookmaker.
Al pianto greco si associa, in gramaglie, Il Messaggero: “Calcio senza scommesse, in rivolta i club di serie A”. Così come, per le annunciate misure sociali per i più deboli, dal reddito di cittadinanza al salario minimo, si dispera La Stampa: “Di Maio vira a sinistra. Ora vuole triplicare il reddito di inclusione. E si affida a tre esperti con un solido pedigree ‘rosso’”.
Oddio, signora mia, tornano i “rossi”: era dai tempi di Valletta quando la Fiat era “La Feroce” perché maltrattava e spiava i lavoratori e La Stampa “La Busiarda” perché non lo raccontava, che non si leggevano simili Madeleine. Ancora un po’ di pazienza, poi i cosacchi abbevereranno i cavalli alla fontana di San Pietro.
E, ad aprirgli le porte, saranno i famosi fascisti del governo Conte.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2018

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