Capitan poltona


Dai comizi-apericena sugli arenili avanza nel Palazzo l’ atmosfera ca fon alche il superministro auto incoronatosi Capitano d’Italia ha imposto all’agenda e alla tregenda di una Nazione. Tuttavia la situazione già grave sta diventando anche seria: un sospetto induce a pensare che l’improvvisa apertura della crisi non dipenda solo dall’essere Salvini un caratteriale, uno che sotto la bonomia mimata cela il temperamento del lunatico, ed è un sospetto che ha instillato proprio Salvini, commettendo nel comizio di Pescara uno di quei lapsus che al tenente Colombo facevano scoprire il colpevole.


“PUR DI ANDARE AVANTI” , ha detto l’abbronzatissimo, “siamo disposti a mettere in gioco le nostre poltrone”. Anche se tutto quel che Salvini dice o twitta (fa lo stesso) solitamente serve a distrarre da qualcos’altro (i casini di Siri, l’andar mendicando in terra russa di Savoini, i 49 milioni pubblici intascati, etc.), stavolta l’excusatio non petita cela semplicemente il suo contrario. “Quanti altri partiti al governo sulla faccia della Terra con sette ministri”, ha aggiunto togliendoci ogni dubbio, “sono disposti a dire ‘andiamo a casa domani mattina e restituiamo la parola agli italiani’?
Gli altri pensano alla poltrona, per noi la poltrona vale meno di zero”.

Questo disprezzo ostentato per la poltrona, da parte di uno che la occupa dal 1990, è notevole anche alla luce del fatto che un mese fa il Senato ha approvato una delle leggi-simbolo dei 5Stelle, quella che prevede il taglio dei parlamentari (da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori), già passata alla Camera a maggio. L’iter di una riforma costituzionale è complesso e comporta rimbalzi tra le due Camere e una pausa di tre mesi – più, se del caso, un referendum, come fu per l’eccentrica riforma Renzi-Boschi-Verdini Calderoli. Se il 9 settembre, data prevista per il voto, la riforma passasse definitivamente, si dovrà scrivere e approvare una nuova legge elettorale che si adatti al nuovo Parlamento ridisegnato. Poco male: adesso vige il Rosatellum, l’ultimo autolesionista tentativo del Pd, d’accordo con Forza Italia e Lega, di dopare i risultati delle elezioni. Ma questo vuol dire che le elezioni, l’evento messianico che istituirà l’eldorado salviniano, si allontanano di molto. Tra un mojitoe un tanga leopardato, dj Salvini deve essersi reso conto che andando avanti su questa strada chi rischia di perdere più poltrone è lui, inteso come la Lega, che della sua volontà è un mero prolungamento. Il vitalismo a buon mercato che lo abita non è compatibile con l’attesa e il rispetto dei tempi istituzionali, anche se il taglio dei parlamentari era nel contratto di governo, come del resto la revisione del Tav.
POSTO CHE SEDUTO su una poltrona fisica – prima di europarlamentare, poi di senatore e ministro – ci sarà stato in tutto mezz’ora da quando lo paghiamo, Salvini sa che andando al voto a novembre non rischia nessuna poltrona, anzi, ne guadagnerà, anche grazie all’inerzia di questa folle estate dionisiaca. Perciò Conte lo ha accusato di voler cinicamente “capitalizzare il consenso”. Nessuno dotato di senno può credere che abbia deciso di sfiduciare il governo per via delle ben note divergenze sul Tav, dopo aver portato agevolmente a casa l’orribile decreto Sicurezza bis.
L’ultimo sondaggio “riservato”, diffuso da Dagospia insieme alle nude mammelle dell’aspirante duce, attribuisce alla Lega qualcosa come 320 deputati e 170 senatori, se si votasse domani: un sabba di potere, altro che l’estasi misera del baccanalino di Milano Marittima. Ubriachi di delizie future, i parlamentari della Lega devono essere andati a battere cassa e a ricordare a Capitan Poltrona che un taglio dei seggi vuol dire un taglio dei voti nei collegi, praticamente mesi di infuocata campagna elettorale buttati– senza dimenticare i governatori secessionisti padani che premono nelle retrovie. Salvini è un semplice: proiettando sui colleghi di governo e su Conte l’attaccamento alla poltrona e alle vacanze, richiamandoli imperiosamente a lavorare come “fanno milioni di italiani”, ha svelato il trucco che sta dietro al suo gioco di prestigio: fare una campagna elettorale come candidato premier da ministro dell’Interno, utilizzando soldi pubblici per svolazzare da una spiaggia all’altra, coast to coast, raccontando sempre la solita favoletta dei migranti che mangiano sulle nostre spalle e girano coi telefonini ultimo modello. Le poltrone che rischiano di saltare sono quelle che i suoi si sentono già sotto le terga, se dovesse passare il taglio dei parlamentari, mentre la poltrona che lui detiene attualmente, a cui può ben rinunciare, è una metonimia del tempo, l’unico fattore nefasto per la sua avanzata, ciò che può condurlo a picco lungo la parabola discendente su cui sono scivolati tutti i salvatori della Patria.

Daniela Ranieri, Il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2019

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