Cara professoressa (e caro professore), insegnare potrebbe
essere il mestiere più bello del mondo. Bisogna stare attenti a non farlo
diventare un piccolo inferno. Dipende solo da noi. Forse lo spunto più prezioso
che ci ha lasciato don Lorenzo Milani, al di là di tutte le strumentalizzazioni
e gli equivoci, è stato proprio questo: la scuola, quando è vera, corrisponde
all’intensificazione della vita; non dovrebbe mai essere separata
dall’esistenza. In tale prospettiva ho elaborato dodici consigli per la mitica
professoressa: quella che, ancora oggi, quando arriva il giorno degli scrutini,
fa la media matematica delle interrogazioni che trova sul registro e
poi assegna il suo voto.
1. Far brillare gli occhi degli studenti.
Il docente non dovrebbe essere uno spartitore di traffico
concettuale posto al centro dell’aula a dirigere le operazioni. Anche questo,
ma non solo. Quando Ottavietto alza la mano per saperne di più (non per andare
al bagno): ecco, lì ti giochi tutto.
2. Premiare il movimento prima che il traguardo.
Ci saranno sempre Pierino e Gianni: entrambi hanno recitato
la lezione ottenendo la sufficienza. Questo vuol dire «fare le parti uguali fra
diseguali» perché Pierino, figlio di una coppia istruita e benestante, è
partito avvantaggiato rispetto a Gianni, che non aveva mai letto un libro prima
di frequentare la scuola. Bisognava dare otto a Gianni (o Mohamed) e sei a
Pierino. Attenzione: non stiamo parlando di medici e ingegneri, bensì di
quindici-sedicenni alcuni dei quali, se perdono l’autostima, fanno presto a
lasciare la scuola.
3. Scoprire la maschera della risposta esatta.
Michelino è stato bravo, ha risposto bene. Il giorno dopo
però si è già dimenticato tutto. A cosa gli è servito aver superato il test?
4. Non gettare mai nel cestino le risposte sbagliate.
Romoletto resta quello che non sa mettere la acca al posto
giusto: il futuro analfabeta funzionale. Su di lui dobbiamo concentrare il
massimo dell’attenzione. Chi vorrebbe liberarsene continua a credere, come
lamentava il priore, che la scuola sia l’ospedale dove curare i sani.
5. Evitare la finzione pedagogica.
Cara professoressa, se fai finta di spiegare, magari perché
sei stanca, i tuoi studenti ti restituiranno la finzione. Ecco a cosa serve
Romoletto: a rompere l’incantesimo.
6. Non essere schiava del risultato.
Diceva Michel De Certeau che uno scolaro (vale anche per i
figli) ti porta sempre in un luogo che non prevedi. Devi andare
all’appuntamento a cui lui ti ha convocato, anche se può risultare doloroso e
spiazzante.
7. Evita le domande trabocchetto.
Altrimenti dette le domande illegittime: fatte apposta per
indurre l’alunno all’errore. Come se il migliore fosse quello che supera
l’ostacolo e il peggiore chi non ci riesce. Al contrario: devi giocare sempre a
carte scoperte. Vedrai, anche a te, piacerà molto di più.
8. Non aizzare la competizione.
I deboli hanno bisogno dei forti, ma vale anche il
contrario. Il maestro del libro Cuore lo sapeva: lui, tanto
bistrattato, almeno su questo aveva ragione. Una classe è una comunità in
formazione. È necessario premiare i più meritevoli, ma non dobbiamo lasciare
nessuno indietro. Non aspettare chi accumula ritardo, oltre che troppo facile,
sarebbe gravissimo. Io la chiamo diserzione spirituale.
9. Alzare l’asticella.
Non devi mai accontentarti. Oggi più che mai bisogna
ripristinare le gerarchie di valore che sembrano azzerate dalla rivoluzione
digitale. È la tipica illusione ottica prodotta dalla civiltà del clic sulla
tastiera. L’informazione rappresenta solo una condizione preliminare. Non
esistono scorciatoie conoscitive. Per assimilare la tradizione occorrono
applicazione, fatica, rigore e costanza. Ognuno ha le sue forme e i suoi tempi
di apprendimento, ma tu devi portare tutti alla meta.
10. Incarnare il limite.
Non uso a caso questo verbo. Se a Valerio indicherai
soltanto il precetto da rispettare, quale che sia, entrare in orario, stare attento,
non rispondere in modo maleducato, ci sono buone probabilità che lui non ti
ascolti, teso com’è a superare gli steccati, anche per mettersi alla prova. Se
invece tu stessa mostrerai di vivere con la medesima rettitudine che pretendi
dagli altri, ad esempio riconsegnando i compiti in classe già corretti il prima
possibile, allora forse potrai avere maggiori soddisfazioni.
11. Valorizzare la comunità educativa.
Oggi chi insegna è molto più solo di quanto non fosse don
Milani a Barbiana.
Ecco perché diventa importante coinvolgere le famiglie
(tasto dolente), i colleghi, il dirigente, i territori. La professoressa può
essere intraprendente e carismatica, ma ha bisogno di appoggio.
12. Accettare la sconfitta.
Una volta chiesero a don Milani quale sarà "il giorno
glorioso" per chi fa l’educatore. E lui disse: quando ci prenderemo una
bastonata. Arriva sempre un momento in cui il ragazzo acquista autonomia. Se ne
va. Ti abbandona. Il nostro è "il mestiere dei fiaschi". Per questo
assomiglia alla vita.
di Eraldo Affinati, la Repubblica , 4 settembre 2019
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