Il ministro si sarebbe espulso da solo


Di Maio sente di avere “idee” diverse dalla linea ufficiale (di Conte) e per esprimerle liberamente si dimette dal Comitato di Garanzia, per rispetto degli iscritti. 

Giusto. 

Ricordiamo che una volta, quando Di Maio era “capo politico”, uno che aveva idee diverse dalla linea ufficiale veniva espulso. 

Domanda: si dimette anche da ministro? 

Perché è sempre grazie ai voti di iscritti ed elettori che ricopre quel ruolo. 

Ma piuttosto: perché Conte e Di Maio devono rimanere insieme? 

Di Maio è una colonna del partito di Draghi, con Giorgetti e altri. 

Conte è stato chiamato per riformare il M5S, non per portare l’acqua a Draghi (già assistito da innumeri e solerti volontari).

Davvero credono che a parte i guardoni dei giornali, che non vedevano l’ora di gustarsi lo spettacolo della loro corruzione dentro le “logiche di partito” contro cui sono nati, alla gente interessino le beghe, le correnti, i contiani, i fraccariani, i taverniani?

Se Conte parla di temi sociali, la natura farà il suo corso: non è un caso che Di Maio abbia reagito 24 ore dopo che Conte è andato a parlare con Draghi di sanità, precarietà, bollette.

Forse brucia la regola dei due mandati, che azzopperebbe molti parlamentari dimaiani. 

Grillo interviene scrivendo che il M5S deve “passare dai suoi ardori giovanili alla sua maturità” e propone di mettere “limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione e non come professione”. 

Di Maio è sicuramente diventato un professionista, se lo scrivono gongolanti i giornali dell’establishment. Ma il disprezzo del M5S per “la politica come professione” è proprio uno dei segni della sua immaturità. 

Nel libro omonimo, del 1919, Max Weber sottolineava piuttosto un’altra distinzione: quella tra vivere “di” politica, cioè per lo stipendio, e vivere “per” la politica, cioè per passione e per il bene comune.

Chi, lì, dentro, vive ancora “per”?

di Daniela Ranieri, Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2022

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